Italia paese di santi, poeti e navigatori: e pure dove l’importante è «che le carte siano a posto». Capita, cioè, che autentici obbrobri costruiti in riva al mare o sul letto di un fiume siano formalmente legittimi e che, al contrario, un presepe realizzato sulla parete di casa propria finisca nel mirino delle autorità perché sprovvisto dei relativi permessi. Non è una battuta ma ciò che succede in un piccolo centro in provincia di Salerno, Albanella, dove Arturo Quaglia, 61enne del posto, si è visto recapitare due distinte note dal municipio: una del comando di Polizia urbana, l’altra dell’Ufficio tecnico comunale.
Contenuto -più o meno- identico: quel presepe che hai quasi finito di completare è abusivo, rimuovilo oppure dovremo denunciarti e procedere di conseguenza. Dove «conseguenza» sta ad indicare: ordine di demolizione del sindaco dopo regolare accertamento delle forze dell’ordine delegate (cioè i vigili), trasmissione della notitia criminis alla procura competente, eventuale opposizione dunque avvocati, timbri, carte da bollo, soldi, perdite di tempo e ingolfamento ulteriore della macchina burocratico-giudiziaria più ridicola del mondo civilizzato.
Già, perché la storia di Arturo Quaglia cos’altro è se non uno di quei classici casi tutti italiani dove l’impasto perverso di norme e regolamenti schiaccia la vita di tutti noi?
L’uomo l’anno scorso ha perso il proprio nipotino di quattro mesi per un’improvvisa malattia. Comprensibile lo choc, le famiglie in genere precipitano nello sconforto e nel dolore. Per onorare la memoria -racconta Quaglia al quotidiano locale La Città– del neonato, il nonno artigiano decide di realizzare un presepe in sua memoria abbandonandosi all’idea di farlo felice durante la permanenza in Paradiso. Decide così di costruirlo sulla parte della propria abitazione. L’opera è già a buon punto, pare manchi poco per completarla: sempre che non venga incaricata un’impresa specializzata per la demolizione. Solo che gli sono già piombati addosso vigili urbani e dipendenti comunali, intimandogli di riequilibrare la faccenda secondo la famosa «normativa vigente».
Che sarà anche stata formalmente violata («Anche se è ancora da vedere» dirà Quaglia riferendosi ai suoi avvocati impegnati nel caso) ma la cui storia, innescata in tal modo, più che un enorme moto di ilarità non può suscitare.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 24 settembre 2013)