L’autobus che domenica è precipitato dal cavalcavia in Irpinia ha impattato contro il guard rail «presumibilmente» ad una velocità compresa tra i i 100 ed i 110 km orari, anche se, prima dell’incidente, la velocità tenuta dall’autista sembra fosse nei limiti consentiti. E il pezzo della trasmissione trovato sull’autostrada apparteneva effettivamente al bus. E’ quanto emerso dai primi accertamenti degli inquirenti che indagano sulla strage sulla A16.
Intanto il procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo, ha disposto il sequestro del tratto della Napoli-Canosa dove è avvenuto l’incidente, per consentire ad un perito, nominato ieri, di eseguire i rilievi strutturali necessari. Allo stato risulterebbero cinque indagati, altri facilmente andranno ad aggiungersi alla lista che, pare, comprenda la Società Autostrade: c’è da capire se tutto fosse in regola, di chi sia la responsabilità principale (l’autopsia sul corpo dell’autista fornirà qualche traccia nelle prossime ore), se i blocchi di jersey possano aver acuito o potenziato il problema, se la revisione del mezzo, effettuata a marzo, sia avvenuta secondo le regole oppure alla «solita maniera» (con questa espressione si intese l’abitudine invalsa in molte parti del Paese di versare un obolo all’autofficina autorizzata senza fare i test di sicurezza).
Indagini a parte ieri stato il giorno dell’addio alle 38 vittime della tragedia del bus precipitato dal viadotto Acqualonga dell’A16 ed è stato ancora più pesante delle ventiquattr’ore precedenti. Sempre che sia possibile. Quattromila persone accalcate nel palazzetto dello sport di Pozzuoli per stringersi ai parenti, ai familiari, agli amici di quei morti, precipitati da 30 metri verso una fine orribile. Orribile quanto l’idea che, in un paio di casi (come quello delle sorelle Del Giudice, Silvana e Simona) neppure i parenti sapevano con certezza chi vi fosse all’interno delle bare di mogano allineate per la cerimonia funebre officiata dal vescovo Pascarella: un “dettaglio” che dà l’idea di cosa sia avvenuto dopo che l’autobus che trasportava gli allegri pellegrini da Telese Terme verso casa ha sfondato i blocchi di cemento jersey dislocati alla destra della carreggiata sul viadotto.
Caldo torrido, aria che manca, sudore che scorre incessante, ansia e disperazione: una tragedia che ha avvolto tutta la gente accorsa ieri mattina, autorità, vigili del fuoco, personalità varie comprese.
Per farsi un’idea del “clima” interno al palazzetto di Pozzuoli, basti considerare che le ambulanze che stazionavano dinanzi alla struttura sono dovute intervenire ben 15 volte: chi si accasciava in apnea da colpo di calore, chi non si rassegnava a voler far partire le bare dopo il rito, chi perdeva i sensi per tutte quelle cose insieme. Un inferno dopo l’inferno di lamiere, sterpaglie, sassi, rami secchi e spezzati, pezzi di motore, carrozzerie divelte, sedili come schegge impazzite, vetri taglienti più delle lame: uno scenario impresso negli occhi di tutti, soccorritori, testimoni e volontari e che chissà per quanto resterà ancora.
C’erano anche i vigili del fuoco intervenuti domenica sera subito dopo la tragedia del granturismo della Mondotravel di Giugliano, l’impresa di viaggi titolare del mezzo, pur’essa finita (cioè i titolari) nel registro degli indagati che la procura di Avellino sembra aggiornare in continuazione: non sempre lo fanno i nostri eroici pompieri, ma stavolta, forse, è stato troppo anche per loro, dovevano e volevano esserci. Così è stato.
Il premier Letta è arrivato ai funerali e prima di andarsene ha abbracciato il sindaco di Pozzuoli, Vincenzo Figliolia. C’erano anche i ministri Lupi e De Girolamo, Gugliemo Epifani del Pd, il governatore della Campania Stefano Caldoro, autorità locali, gonfaloni, fasce tricolore, azzurre e di ogni altro simbolo e colore.
Per quanto riguarda i feriti, i bambini ricoverati al Santobono di Napoli sono in condizioni stazionarie; il sopravvissuto ricoverato a Salerno, invece, peggiora con il trascorrere delle ore, così come altre due persone ricoverate a Napoli. Mentre due di quelle sistemate ad Avellino sembra diano segnali incoraggianti e potrebbero addirittura essere dimesse.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 31 luglio 2013)