Sarà un caso ma ogni volta che c’è di mezzo Berlusconi la giustizia viaggia spedita come non mai. Perfino per i magistrati che, a vario titolo, si occupano di lui. Prendi il giudice Antonio Esposito (foto) il presidente (fino a domani) della sezione feriale della Cassazione che ha giudicato sui ricorsi del Cav nella surreale vicenda Mediaset, travolto da infuocate polemiche per l’intervista rilasciata all’inviato del Mattino Antonio Manzo.
Il Csm, infatti, non solo ha deciso di affrontare subito la questione delle dichiarazioni consegnate via telefono al giornalista, considerate indebite esternazioni sui motivi di sentenza ancora non depositati («Berlusconi condannato perché sapeva») ma s’è premurato di anticipare di 4 giorni la ripresa delle attività.
La Prima commissione del vetusto organo di autogoverno dei giudici, quella che normalmente si occupa delle tante (e non sempre rimosse) incompatibilità ambientali e funzionali, avrebbe dovuto riunirsi il 9 settembre. Ma il vice presidente Vietti e il consigliere laico del Pdl Annibale Marini (responsabile della sezione) hanno deciso di anticipare tutto al cinque. Segno di un clima generale che va via via complicandosi, almeno sotto il profilo dei fastidi «formali», dal momento che potrebbe pure non succedere nulla. Per casi peggiori decine di magistrati hanno ricevuto buffetti sulle guance, al massimo trasferimenti ad altra sede, non esattamente delle punizioni esemplari. Anzi. Come, verosimilmente, finirà con Esposito che per la quarta volta nella sua carriera finisce dinanzi alla Disciplinare.
Tornando al casus belli, va rilevato che il giudice originario di Sarno (la stessa città di Lucia Annunziata, l’inflessione dialettale infatti è un po’ diversa dal napoletano puro) pare abbia un debole per il commento post sentenza. Soprattutto se gli capitano sotto personaggi politici di rilievo: sempre con la stessa testata e, ironia della sorte, con lo stesso giornalista. Esposito aveva «giudicato» da appena 24 ore sul caso di Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, attualmente detenuto per favoreggiamento della mafia proprio in seguito a quella decisione. Era il 22 gennaio 2011. Il 24, il Mattino in prima pagina ha l’esclusiva dell’intervista al giudice che ha cambiato il corso della storia politica siciliana: il che significa che l’ha rilasciata il giorno precedente, cioè il 23, quindi ad un giorno di distanza dai fatti. Nulla di illegale anche qui, dove tra l’altro ci si trincera dietro la regolare «attesa del deposito delle motivazioni» e puntualizzazioni varie. Le solite. Poi, però, nell’intervista si leggono citazioni di Zagrebelsky, valutazioni sulle condotte degli imputati, sul modo di porsi in rapporto alle sentenze e, in finale, un veloce «approfondimento» sui difficili rapporti tra politica e magistratura. Se non c’erano esattamente i motivi della sentenza, di certo si capiva da quelle parole che Cuffaro (e tanti come lui) non avrebbe mai potuto avere scampo. Esposito, pare, legga soltanto di Repubblica e Fatto: e si vede.
Il magistrato, fratello dell’ex procuratore generale della Cassazione, Vitaliano, e padre di un altro magistrato (le famiglie contano nella categoria) è stato per anni pretore a Sapri. Si ricordano, dell’epoca, non solo le frizioni con la classe politica ed imprenditoriale causate da una certa «intransigenza», ma anche memorabili scontri con penalisti di vaglia dell’epoca. Celebre un battibecco pubblico tra lui e un «padre della patria» dei fori campani, l’avvocato Alessandro Lentini, che ancora oggi in molti ricordano. «Caro pretore Esposito -disse il vulcanico penalista- se lei continua a mandare carabinieri e vigili per ogni iniziativa economica assunta sul territorio non si troverà a comandare una pretura ma sarà a capo di un cimitero». Come in effetti poi fu.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 9 agosto 2013)