E’ una delle classiche storie all’italiana sospese tra parole e fatti, tra l’immagine di un’azienda e la sua realtà concreta: in genere, quest’ultima, distante dal messaggio diffuso in costose campagne pubblicitarie. E’ il racconto delle peripezie di una piccola azienda campana operante nel settore informazione, new media e tv che, per circa un mese, ha dovuto combattere contro Sky e Fastweb con annesso apparato tecnico-amministrativo, inaspettatamente simile alla burocrazia dell’ultimo ufficio postale d’Italia.
Non fatelo sapere a Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, che ha già subito traumi indicibili per guai ben peggiori: per un imprenditore innovativo come lui, sapere che la sua creatura gira ancora a manovella, questo no, non sarebbe giusto. E neppure sopportabile.
Dimenticate, dunque, l’ «Immagina, puoi» di George Clooney (foto in alto) e le virtù demiurgiche della velocità moderna on line; dimenticate pure la simbologia delle Olimpiadi di Monaco col velocista nero Jessy Owens. E dimenticate pure l’avanguardia tecnologica fatta di scintillii e luccichii del gioiellino dello «Squalo», quel Rupert Murdoch che abbiamo imparato a conoscere e che risponde al nome di “Sky”, segnatamente nelle sua declinazione italiana. Dimenticate tutto, perché quando si mette piede in Italia tutto diventa carta, timbro, sigillo, il «dottore è fuori stanza e la faremo richiamare» oppure «mi spiace non possiamo farci niente, è il sistema che va così». Insomma, ci siamo capiti. Abbandonate quindi qualsiasi idea vi siate fatti di queste due grandi aziende ed ascoltate la storia di un’impresa del sud del Paese. Come si dice, il diavolo si nasconde nei dettagli. Vediamo.
Tutto comincia quando il titolare decide di chiudere i rapporti con il solito istituto bancario/usuraio, circostanza che la maggioranza degli italiani conosce a menadito. Ne consegue che anche gli addebiti per il pagamento dei servizi vari (le famose Rid) vengano sospesi in attesa di concordare nuove modalità. Bene, avendo l’impresa sottoscritto un contratto “Home Pack”, cioè un’unica stipula con Sky e Fastweb a condizioni più -si fa per dire- vantaggiose rispetto a quanto sarebbe costato farlo separatamente, inizia un’Odissea che per circa 30 giorni le ha impedito di lavorare, tra sospensione della rete, poi del servizio voce, poi della linea Sky, infine di tutte e due e poi, ancora, solo di una ma non dell’altra e viceversa, in un crescendo di follia burocratico-cartacea di cui, tragicamente, l’Italia è leader mondiale.
Siamo intorno al 25 luglio, mentre l’azienda è in contatto con le due blasonate società «del futuro» per la definizione delle nuove modalità di pagamento, il servizio viene improvvisamente sospeso: il che può significare soltanto che il coordinamento tra gli uffici delle due aziende non esiste, il contabile non sa ciò che fa il tecnico e viceversa. La chiamano efficienza. L’imprenditore, comprensibilmente inviperito per i disagi che immaginava stesse per subire (come in effetti poi avverrà), chiama al 192.000, numero dedicato per i clienti Home Pack. L’operatore tal dei tali suggerisce perfino di non recarsi in Sisal ma di pagare alle poste perché così non si troverà costretto a saldare anche le rate ancora non scadute: il che, pur essendo logico per chiunque, è già qualcosa. Già, perché non si capisce come sia possibile (anzi no, si capisce benissimo) esser costretti a pagare prima delle scadenze: cioè se, ad esempio, il 25 luglio ci si reca in uno sportello Sisal per sistemare mensilità arretrate, il sistema automaticamente ti obbligherà a pagare anche la rata successiva. Cioè devi pagare anche senza che i termini siano scaduti: perché mai? Non si sa. Ma torniamo alla via crucis. Il saldo dello scaduto viene versato, com’era giusto che fosse: da questo momento, però, non si capirà più nulla e fino al 20 agosto sarà un crescendo surreale. Fastweb riallaccia il servizio, Sky invece se ne guarda bene: decine e decine di telefonate al 192.000 non serviranno a nulla. Sono imprese diverse, con regolamenti interni diversi, modalità di esercizio diverso: però si presentano unite per chi voglia «approfittare delle sensazionali offerte» e, sempre unite, introitano i tuoi soldi. Salvo, al primo intoppo, mollarti per strada lasciandoti in balia delle loro cervellotiche, italianissime consuetudini: come se ad un cliente dovesse interessare il modulo organizzativo interno di un’azienda.
Ma andiamo avanti. Quei povericristi del call center, stremati da ore di alienante lavoro per poche centinaia di euro (si immagina), più di tanto non possono fare: il guaio è che su 47 operatori diversi compulsati (l’imprenditore, che in pratica ha trascorso un mese al telefono con i call center di mezzo mondo, ha registrato numero di codice identificativo e nome di ognuno, data e ora della chiamata) ognuno diceva una cosa diversa. Niente male come modello tecnologico d’avanguardia. Chi diceva che entro un paio d’ore anche Sky avrebbe provveduto, chi invece che ci volevano dalle 24 alle 48 ore; altri ancora chiedevano l’invio del fax di pagamento (operazione ripetuta più di una volta, seppur vanamente) al numero 02.7610107, chi ti rassicurava riconoscendo che Sky e Fastweb stavano commettendo un abuso, chi non capiva neppure di cosa si stesse parlando, chi perdeva le staffe magari perché preso in un brutto momento, chi riagganciava senza darti spiegazioni dinanzi alle sacrosante proteste. Ma il servizio, pur saldato nei conti, non veniva fornito: per giunta, all’imprenditore arrivavano chiamate da numeri strani per i solleciti. Roba da manicomio.
Ma non finisce qui, perché la cosa da tragica inizia a farsi comica. La mattina del 13 agosto un’operatrice fa sapere che entro un paio di minuti, dopo circa 20 giorni ininterrotti di fruizione al 50% del servizio pagato per intero, la tv del tycoon australiano è di nuovo visibile. Sospiro di sollievo, gli aggiornamenti dell’impresa possono riprendere in tema di informazione internazionale via satellite. Tempo un paio d’ore e il calvario riprende, a parti rovesciate stavolta. Fastweb risospende il servizio gettando nel panico l’imprenditore e i suoi dipendenti, impossibilitati di nuovo a lavorare. Comincia tutto daccapo. Spiegare il motivo di questa nuova sospensione è, in un certo senso, imbarazzante anche per il cronista: le grandi aziende del futuro e della modernità, in pratica, nonostante tu gli esibisca le prove dei pagamenti effettuati nelle forme e nei modi che loro stesse ti indicano, devono «contabilizzare» il pagamento fatto. Il che può avvenire anche in 15 giorni (sic!) se fatto per via postale: se lo fai via Sisal, invece, scatta il “pizzo” come sopra descritto.
In pratica, se non c’è un normalissimo impiegato come quelli che si vedono alle poste o all’Asl che si reca fisicamente in chissà quale stanza a pigiare il bottone, dopo che comodamente dagli uffici amministrativi avrà ricevuto l’ordine, il servizio te lo puoi scordare. E al diavolo se hai pagato: «Sono persone umane anche loro» ha dichiarato un’incauta addetta del call center dinanzi alle maledizioni dell’imprenditore ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Maledizioni, a questo punto, non esattamente condannabili. Immagina, puoi.
Peppe Rinaldi
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