Si chiama Francesco De Vita, è un avvocato con studio a Roma, in altre città europee e in sud America. In più ha parentele «blasonate», nel senso che è cognato dell’attrice Nancy Brilli essendo il fratello di suo marito, Roy De Vita (foto). L’avvocato è agli arresti domiciliari dal 4 marzo e, a quanto sembra, di farlo uscire i magistrati non ne vogliono sapere. Cosa avrà combinato? Nulla di particolarmente efferato, diciamo che -semplificando- tutto si condensa in un’indebita cena al ristorante, dall’incredibile conto di 80 euro. Spieghiamo.
Sul finire dell’inverno scorso un’inchiesta ha travolto pezzi della giunta di Castellammare di Stabia, ancora guidata dall’ex senatore di An Luigi Bobbio. De Vita, nominato coordinatore della “cabina di regia” finisce nel mirino di due pm della procura di Torre Annunziata, Aprea e Benincasa, con l’accusa di peculato e abuso d’ufficio. La misura cautelare è stata chiesta e ottenuta solo per la prima ipotesi. E sarà proprio questa a rendere -come dire?- stravagante l’esito fin qui ottenuto. De Vita è stato ammanettato perché si sarebbe fatto rimborsare spese per circa 30mila euro, nonostante le autorizzazioni del mandato. Un classico, si dirà. Potrebbe anche essere, lo si vedrà al processo: resta da capire come mai gip, Riesame e gup abbiano bocciato le istanze del suo difensore (il penalista Fulvio Lamberti) nonostante le premesse per tenerlo dentro siano venute meno da tempo.
De Vita è accusato anche di aver pernottato a scrocco in alberghi vari, lui e un’altra persona. Da cosa l’hanno evinto i magistrati? Dal rapporto della polizia giudiziaria che avendo letto sulle fatture il “2”, hanno inteso quel numero come indicativo di quanti soggetti avessero occupato la stanza. Come tutti sanno, in ogni albergo si scrive quante notti uno abbia soggiornato e non quante persone siano state servite. Il problema del «copiaincolla» del quale s’odono lamenti in tutti i tribunali italiani (cioè una sorta di adesione automatica al rapporto di pg da parte del pm), comincia a farsi drammatico. De Vita resterà recluso almeno fino a metà agosto, quando il Riesame dovrà pronunciarsi nuovamente contro la decisione di tenerlo dentro in quanto «potrebbe inquinare le prove». Ma se la giunta che l’ha nominato è decaduta e, con essa, anche il suo incarico, in che modo inquinerebbe? Può reiterare il reato? Può fuggire? Non sembra: tra l’altro il magistrato stesso -che non gli ha revocato il passaporto- ha concesso di andare in udienza da solo, senza vigilanza, da Roma a Torre A.
Il peculato, poi, è un reato documentale: lo provano le carte, in buona sostanza, e le carte sono già state tutte acquisite in fase di indagine, tra l’altro chiusa e con tutti i protagonisti sentiti. Ma dalla «galera» non si esce. Perché? Sarà mica per quella cena da 80 euro, fatta prima della nomina comunale, il cui scontrino è stato sequestrato e portato come prova? Diciamo pure di sì. Allora la domanda è: si può tenere agli arresti un individuo (tra l’altro dichiaratosi disposto a restituire le cifre contestate) per 80 euro? A quanto pare sì, si può fare.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 27 luglio 2013)