NAPOLI- Cib’arti: seconda collettiva nell’home-studio napoletano di Sarajevo Supermarket, a un anno e mezzo dalla costituzione dell’associazione e dello spazio fisico-contenitore e a diciotto anni dalla nascita del progetto, è anche un momento di riflessione sul processo intrapreso di aggregazione di artisti indipendenti, di documentazione del lavoro artistico e di stimolo alla produzione, nonchè apertura verso nuove vie da percorrere.
Ventisette artisti di diverse generazioni e con linguaggi differenti, provenienti o operanti principalmente in Campania – ma non solo – affrontano le suggestioni evocate dalla parola Cib’arti, indagando le connessioni tra il cibo e la vita, tra l’arte e il cibo, tra l’arte e la vita, da diverse prospettive.
Siamo quello che mangiamo, affermava Feuerbach. Il cibo è ciò che ci nutre, ci alleva, ci alimenta quotidianamente. Nella necessità di alimentarci sta la nostra dipendenza dalla natura in cui siamo radicati, il nostro essere corpi che hanno bisogno di ricavare energia dall’esterno. Ma intorno a ciò che è più naturale nell’uomo – il cibo e la riproduzione – sono state elaborate dalle varie culture umane il più grande numero di costruzioni culturali: riti, sistemi di regole e proibizioni; religioni e filosofie laiche prescrivono gli alimenti consentiti e quelli proibiti nei vari periodi dell’anno, gli orari dei pasti, i digiuni, gli abbinamenti tra i cibi, le valenze magiche di alcuni di essi. Il momento dei pasti è da sempre, in tutte le culture, anche momento di pausa e di socialità: cosa ne resta in un’epoca mediatica, frenetica e individualista?
La nutrizione evoca il suo contrario, la vita evoca la morte, la esorcizza, la digerisce. E la digestione cos’è, se non la trasformazione? Ma fino a che punto possiamo trasformare in energia utile ciò di cui ci cibiamo, quando questo non è altro che veleno? Non a caso alcuni degli artisti in mostra riflettono sulla catastrofe ambientale (e non solo) che colpisce in particolar modo la nostra regione, con rabbia, con amarezza, ma anche con qualche spiraglio di speranza, poichè – in un certo senso – anche la morte evoca la trasformazione e la nuova vita.
In quanto esseri umani, inoltre, la nostra dipendenza dall’esterno non è solo naturale: abbiamo bisogno di nutrimento anche per lo spirito, per l’intelletto, per la socialità. Il cibo nella sua accezione metaforica, quindi, diventa tutto ciò – anche di immateriale – che l’uomo produce e consuma, e tra questo naturalmente l’arte.
Gli artisti intervenuti a Cib’arti hanno indagato queste ed altre implicazioni; arti al plurale, oltre che per gioco di parole, anche per sottolineare la pluralità di linguaggi che incrocia Sarajevo Supermarket, che nello spirito di contaminazione che lo contraddistingue, porta avanti l’idea che la differenza sia una ricchezza e che la varietà sia d’incalcolabile vantaggio rispetto all’uniformità.