ARCHIVIOQuel diavolo in noi e fuori di noi che (quasi) nessuno vuol più vedere

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diavolo

“Che diavolo sei? Un esorcista e un demonologo a confronto”: è questo il titolo del libro, scritto a quattro mani da D. Gianni Sini e D. Marcello Stanzione, la cui presentazione ha offerto l’occasione per il dibattito su “Il demonio, simbolo del male o realtà personale?”, organizzato a Salerno dall’associazione Veritatis Splendor nella chiesa di S. Pietro in Camerellis, lunedì 24 giugno.

 

D. Gianni Sini, esorcista della diocesi sarda di Tempio – Ampurias, e D. Marcello Stanzione, demonologo della diocesi di Salerno, hanno trattato, nei rispettivi ambiti, il tema delle “creature invisibili” ricordate nel Credo. Angeli e demoni nelle loro realtà teologiche. In particolare il tema del demonio, al centro della predicazione di Papa Francesco, ha offerto agli autori del saggio l’incipit con quella che è diventata celebre definizione d’inizio pontificato per cui cedere allo sconforto e alla rassegnazione equivale ad assecondare le trame del demonio.

L’aver recuperato alla predicazione il tema del demonio può apparire tra i tratti più sorprendenti del magistero di Papa Francesco, in totale distacco da tutta una catechesi postconciliare che aveva invece relegato il diavolo a simbolo primordiale del male, un residuo di culture primitive, spiegato con la storicità della lettura dei testi biblici. E così fece impressione l’espressione di Paolo VI per cui il fumo di Satana si era insinuato nella stessa Chiesa dopo il Concilio, e, non meno singolarmente, nel cinquantenario del Vaticano II, ha destato perplessità che Benedetto XVI ricordasse tutto il peso del peccato originale nella storia dell’uomo e della Chiesa. Cosicché, l’insistenza di Francesco sul tema appare in perfetta sintonia con le verità della fede che annoverano peccato originale e demonio, inteso come realtà personale, anche se non sembra percepita in tutta la sua valenza.

“Un essere oscuro che agisce con proditoria astuzia”, secondo le parole di Paolo VI, “omicida sin dall’inizio” per come lo ha definito Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni, per l’invidia del quale “la morte è entrata nel mondo”, secondo il libro della Sapienza. E al tempo stesso, la sua presenza nella storia e nel mondo appare nell’immagine cosmica dell’Apocalisse: “Ci fu la grande battaglia nel cielo di Michele e dei suoi angeli con il drago, e il drago combatteva con i suoi angeli e non prevalsero né fu trovato più per loro un posto nel cielo. E quel grande drago, il serpente antico, che è chiamato diavolo, e Satana, che seduce tutto il mondo, furono scagliati sulla terra e i suoi angeli con lui vi furono mandati”.

Oscure entità del male, presenti nel disegno divino prima della stessa creazione dell’uomo, animate dall’invidia per l’uomo, in quanto “creato di poco inferiore agli angeli” e perché dotato di un destino di salvezza. Tuttavia, la banalizzazione contemporanea del discorso sul demonio è quanto D. Sini ha voluto stigmatizzare, complice anche una certa cultura teologica che sottovaluta il fenomeno sino a negarlo. Così, se nella diocesi di Milano si è passati, sotto il cardinale Scola, da sei a dodici esorcisti, in altre i vescovi non reputano neppure opportuno nominare sacerdoti che, per prudenza, discernimento e pietà possano esercitare il delicato ministero di esorcista. Del resto, il dato di per sé eloquente di dodici milioni di Italiani che si rivolgono ogni anno a maghi, cartomanti e imbonitori di vario genere è pur sempre segno di quell’inquietudine spirituale attraverso la quale comunicano anche le trame del Maligno. E se D. Sini ha descritto le peculiarità di un mondo magico che ancora sopravvive negli ambienti pastorali sardi, fatto di sortilegi e di malefici, non diversa è la realtà di altri contesti in cui il demonio si manifesta come incontrastato “principe di questo mondo”.

Indubbiamente, anche la riforma liturgica postconciliare ha operato una riduzione sulla rappresentazione delle entità invisibili di angeli e demoni. Sin dal Confiteor che non ricorda più S. Michele Arcangelo, principe delle legioni celesti al servizio di Dio, nell’iconografia rappresentato mentre abbatte il drago con la sua spada. Parole e segni che evocavano realtà invisibili agli occhi, ma presenti alla sostanza della fede. E non è secondario se, come ha ricordato D. Sini, le entità presenti nei posseduti si sentono contrastate dalle parole del versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni: “ma a quanti lo hanno accolto, ha dato la facoltà di diventare figli di Dio, a questi che credono nel suo nome”.

E sono queste le parole che marcano la distanza incolmabile tra l’uomo e il demonio, a cui resta preclusa ogni possibilità di riconciliazione con Dio. Neppure è frutto del caso se il Prologo di Giovanni, nel rito tridentino, è lettura obbligatoria come ultimo Vangelo, fatta a fine messa dopo le benedizione finale e proclamata in cornu Evangelii, a sinistra dell’altare, con il celebrante rivolto simbolicamente a nord, alle potenze delle tenebre.

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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