La città più «borbonica» appena fuori Napoli in direzione sud, Portici, ha un nuovo sindaco. Un sindaco togato, è il caso di dire, dal momento che Nicola Marrone (nella foto durante un comizio elettorale) primo cittadino che ha appena annichilito il Pd da sinistra e il centrodestra a prescindere, è un magistrato della repubblica italiana.
Ma dov’è la notizia, vista l’overdose di toghe in politica da almeno un ventennio? La novità non è proprio tale, Libero ne ha già raccontato a maggio, allorquando si imbatté nel doppio binario dell’impegno politico e della funzione giudiziaria esercitati in contemporanea, una circostanza sinora mai riscontrata altrove. Cioè Nicola Marrone, legittimo vincitore delle amministrative, non si è mai dimesso dalla magistratura né ha mai chiesto la famosa aspettativa al Consiglio superiore della magistratura. Una pratica obbligata, in un certo senso, per qualunque membro della «super casta» che intenda offrire i suoi servigi alla collettività attraverso l’azione diretta nelle istituzioni politiche.
Il sindaco di Portici, eletto sulla falsariga del «modello De Magistris», cioè da estrema sinistra, Sel, Verdi, Idv e frattaglie varie (Udc compresa), è anche magistrato con funzioni giudicanti nel vicino tribunale di Torre Annunziata. La legge glielo consente, prevedendo un esplicito divieto di candidatura a quei magistrati intenzionati a presentarsi nella stessa area di competenza degli uffici in cui si esercita la professione: Portici rientra nella giurisdizione della procura di Napoli e, nonostante sia ad un tiro di schioppo da Torre Annunziata, l’operazione di Marrone è risultata inattaccabile sotto il profilo tecnico-giuridico. Quanto all’opportunità e alla strombazzata moralità di cui son piene le cronache, il discorso sarebbe lungo: basti solo considerare che esistono raccomandazioni, sentenze, codici etici, circolari dell’organo di autogoverno della magistratura che stigmatizzano la possibilità di contravvenire a questo principio generale. Poi, ovvio, ognuno si muove come meglio crede. Nel caso di Portici appare evidente che si è andati ben oltre Ingroia.
A chi gli ha fatto notare l’oggettiva irritualità della situazione (chi conosce la conurbazione napoletana sa che dal capoluogo e fin quasi a Salerno è un unicum geografico-comunitario senza soluzione di continuità) di un primo cittadino che, contemporaneamente al sindacato, dovrà esercitare a pochi chilometri in un altro ufficio pubblico (ugualmente «solenne») giudicando addirittura su vite e patrimoni altrui, Marrone rispose con serafica accortezza che il motivo per il quale non si era messo in aspettativa né dimesso -e non lo avrebbe fatto- risiedeva «in un’esplicita richiesta del Presidente del Tribunale che mi ha pregato di non assentarmi perché ciò avrebbe determinato la modifica del collegio e la rinnovazione degli atti dibattimentali, con l’ulteriore conseguenza che molti reati si sarebbero prescritti. Intendo mantenere analogo impegno anche in caso di elezione. Ritengo paradossale che tutto venga veicolato come scarsa eticità. Lascio ai cittadini il compito di valutare». E i cittadini porticesi hanno valutato, punendo al ballottaggio Giovanni Iacone, il candidato del Pd legato all’ex sindaco uscente, oggi senatore, Vincenzo Cuomo, dando a Marrone il 60% circa dei voti. Nessun commento ufficiale ancora sulla doppia funzione (e sul doppio stipendio, così come quando era assessore nella giunta uscente). Arriverà. Per ora solo comprensibili frasi di prammatica post elettorale sui bisogni della città, sul cambiamento, sul rilancio dell’universo mondo.
Marrone ha definito paradossali le accuse di scarsa eticità piovutegli addosso in campagna elettorale. A parità di condizioni e immaginando un’improbabile candidatura vittoriosa nel centrodestra, probabilmente a quest’ora a Portici ci sarebbero i carri armati per strada. Chissà.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 12 giugno 2013)