L’ultima volta che qualcuno voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno abbiamo visto com’è andata a finire. Ora, non sarà proprio tonno, ma il prossimo Palazzo che si appresta ad esser aperto almeno come una Simmenthal è quello dei Marescialli, sede del Csm (nella foto un’immagine del plenum) organo di rilievo costituzionale per l’autogoverno dei magistrati. In parole povere è il così detto parlamentino dei giudici, un posto ricco di poltrone per occupar le quali si fa esattamente come in politica, con la differenza che non bisogna dirlo troppo spesso o troppo ad alta voce.
Un Beppe Grillo non c’è, almeno non ancora: c’è però «Altra proposta», creatura appena partorita in seno al multiforme mondo delle toghe italiane, intenzionata a regolare una volta per tutte l’andazzo della magistratura italiana in relazione a nomine, incarichi, correnti, sedi da assegnare, posti da ricoprire, metodo d’elezione al Csm e via dicendo: non esattamente un mondo dorato dove si distribuiscono virtù. Anzi.
Ma non chiamateli «grillini» perché non ci stanno, neppure si può parlare di nuova corrente dell’Anm, l’ormai mitica “Associazione nazionale magistrati”, cioè il sindacato unico della categoria unica (un po’ come noi giornalisti, tanto per dire). No, loro nascono per abbattere tutto ciò, per fare piazza pulita delle logiche e dei metodi che da anni (da sempre?) caratterizzano il complicato universo togato.
Per ora hanno un nome, un blog (www.altraproposta.blogspot.it) una lista di iscritti, uno statuto, obiettivi da raggiungere, abitudini e consuetudini da cambiare. Vaste programme si direbbe, ma non impossibile. Il battesimo è avvenuto il 2 giugno scorso a Roma ad opera dei quindici magistrati costituenti il nucleo fondativo di Altra proposta.
Si tratta di Franca Amadori (Tribunale di Roma), Milena Balsamo (Tribunale di Pisa), Francesco Bretone (Procura della Repubblica di Bari), Giuliano Castiglia (Tribunale di Palermo), Donato D’Auria (Tribunale di Pisa), Giovanni Fanticini (Tribunale di Reggio Emilia), Felice Lima (Tribunale di Catania), Ida Moretti (Tribunale di Benevento), Pietro Murano (Tribunale di Pisa), Giorgio Piziali (Tribunale di Verona), Andrea Reale (Tribunale di Ragusa), Gianni Reynaud (Tribunale di Pinerolo), Nicola Saracino (Tribunale di Roma), Stefano Sernia (Tribunale di Lecce), Massimo Vaccari (Tribunale di Verona). Cui si sono aggiunti alcuni altri.
A leggerne i programmi sembrano aver ogni ragione: parlano di autoreferenzialità del sistema, di pratiche obsolete e/o di mero potere per la concessione di incarichi dentro e fuori ruolo, di crisi di rappresentanza, spingendosi a scrivere all’art.1 dello statuto che, tra i principali obiettivi, c’è quello di “Ostacolare i condizionamenti dell’azione degli organi istituzionali dell’autogoverno esercitati da persone o gruppi in modo non trasparente e/o per non legittimi interessi particolari”. «Interessi particolari non legittimi» dicono, e già questa frase ha dell’inquietante detta da magistrati. Oltre che spesso del fondato: ma questa è un’altra storia.
Parlano, ancora, di portavoce a tempo determinato e senza possibilità di rielezione, di assemblee sovrane che decidano senza organismi intermedi e, soprattutto, di voto telematico nelle scelte e nelle decisioni: roba «in movimento» sembrerebbe, che tradisce il Grillo che è (potenzialmente) in loro. Di scatolette di tonno non ne parlano, ma dicono altre cose pesanti, alcune condivisibili altre meno, sul conto di colleghi, toghe e uffici giudiziari vari. E siamo solo all’inizio.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 19 giugno 2013)