Per chi sta chiuso nella cella di un carcere 22 ore al giorno, a tacer del resto, basta poco per riempire il vuoto di giornate interminabili. Chissà se a «Totò vasa vasa», alias di Salvatore Cuffaro, (foto a sinistra) ex governatore siciliano in galera per favoreggiamento, la notizia della condanna di Antonio Di Pietro (foto a destra) per diffamazione nei suoi confronti abbia dato un pizzico di sollievo.
Fatto sta che il tribunale civile di Palermo ha depositato una sentenza (n. 1742/2013) esemplare in materia di diffamazione a mezzo internet, condannando il capostipite dei Torquemada italiani «prestati» alla politica al pagamento di seimila euro in favore dell’ex uomo forte dell’Udc. Merito degli avvocati di Cuffaro, Salvatore Ferrara (lo stesso che riuscì a far condannare Travaglio per una vicenda simile) e Giovanni Gruttad’Auria, che hanno argomentato la questione dinanzi al giudice Giulia Maisano. Di Pietro era invece rappresentato dall’«avvocato dell’Idv», quel Sergio Scicchitano noto per una discussa permanenza ai vertici dell’ex Federconsorzi oltre che nel cda Anas, significative e sostanziose poltrone procurategli dallo stesso Di Pietro.
I fatti sono andati in questo modo: su un canale Youtube c’erano tre video, postati nel 2009 dai soliti anonimi, che ritraevano un giovanissimo Cuffaro nel 1991 mentre partecipa alla staffetta anti-mafia tra Samarcanda (il programma Rai con cui Michele Santoro si è consacrato come il re dei teletribuni) e il Maurizio Costanzo Show di Fininvest dopo l’assassinio di Libero Grassi. Nei video si vede il futuro governatore della Sicilia che attacca giornalisti e magistratura. Quella sera c’era anche Giovanni Falcone (foto al centro) il magistrato che di lì a poco sarebbe stato fatto saltare in aria da Cosa nostra. Un video in particolare era stato titolato “Totò Cuffaro aggredisce Giovanni Falcone”. Tra i 4.600 commenti c’erano carinerie di questo tenore: “Cuffaro deve fare la fine di Falcone, spero che qualcuno trovi il coraggio di sparare un colpo in testa a ‘sti buffoni”; “Muori mafioso pezzo di merda, diamogli fuoco noi in piazza”; “bastardo ti ammazzerei con le mie mani”. Il minimo, ovviamente, fu rivolgersi alla magistratura con una maxi querela di cui pure si parlò all’epoca.
Si parlò meno del fatto che Di Pietro, prendendo la palla al balzo, linkò sul suo sito (www.antoniodipietro.it) quei video e si dilungò con chiose e concetti che, finora, gli son costati alcune migliaia di euro di risarcimento da danno non patrimoniale. “Noi dell’Idv offriamo assistenza legale gratuita ai querelati da Cuffaro”, aggiunse con una smargiassata delle sue, minacciando pure: «Lo vedremo alla fine chi festeggia a champagne e cannoli”. Per ora, almeno a sorridere, sarà Cuffaro.
Intanto, va precisato che la «aggressione» a Falcone era falsa, nel senso che Cuffaro durante l’intervento televisivo parlava di un altro famoso magistrato, il procuratore Taurisano. Di Pietro andò oltre con le parole, tentando, una volta trascinato in tribunale, di invocar per sé l’immunità parlamentare: un «giochino» che spesso riesce ai parlamentari, almeno fino a quando non trovano un magistrato che va a fondo delle questioni. Com’è il nostro caso, a quanto pare. “Il rampollo Totò doveva farsi notare nella Sicilia con la coppola -continuò- anche a costo di screditare un eroe vero che l’anno successivo sarebbe stato ammazzato con 500 chili di tritolo”.
Era tutto falso: Cuffaro non screditò né tantomeno aggredì Falcone e le frasi dell’ex leader di Mani Pulite nei suoi confronti sono, ormai, «tecnicamente» diffamatorie. Prego, pagare.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 31 maggio 2013)