In attesa che il direttore generale dell’Asl di Salerno dimostri alla collettività che gli paga lo stipendio che, almeno per il periodo del suo management, non ci siano più trattamenti differenziati tra le strutture operanti sul territorio, emergono ulteriori particolari sulla famosa «clinica del Pd», cioè il centro medico “Ises” (foto) di Eboli in provincia di Salerno.
La struttura, come sappiamo, sembra godere di una sorta di extraterritorialità, nel senso che, pur non avendo i requisiti tecnici per esercitare la (benedetta) cura dei disabili e, di conseguenza, neppure quelli per l’accreditamento al servizio sanitario, continua a rimanere aperta: contemporaneamente, da anni, incamera corpose rimesse dall’Asl per conto della quale svolge un servizio altrimenti demandato a strutture pubbliche ordinarie, rimesse che sono nell’ordine di poco meno di quattro milioni di euro annui. Dire che si tratta di otto miliardi delle vecchie lire forse farà più effetto.
Abbiamo già visto in precedenza che almeno due terzi di quel danaro se ne vanno in stipendi per soci, soci lavoratori e convenzionati vari, in ossequio ad una pianta organica che parrebbe, pur’essa, sopra le righe della legge. La domanda centrale però è sempre la stessa: perché se in un qualsiasi esercizio commerciale la toilette non risulta a norma (dove magari manca uno sfiatatoio qualsiasi) l’Asl e tutti gli altri uffici competenti prendono immediati provvedimenti sanzionatori, chiusura compresa, e invece nel caso dell’Ises rimane tutto invariato? Per tutelare i posti di lavoro? Balle. La struttura non ha la certificazione di agibilità, senza la quale per chiunque altro non è possibile neppure immaginare di avviare il discorso: nel nostro caso pare che funzioni al contrario. Di certo il manager Antonio Squillante (foto a destra) avrà una spiegazione al riguardo. Sempre che qualcuno gli faccia la domanda.
L’agibilità statica dell’immobile che ospita il centro per la riabilitazione di decine di portatori di handicap, non sembra essere neppure l’unico deficit tecnico-strutturale tollerato: del resto sull’argomento siamo tornati più volte, rilevando le condizioni generali interne ed interne (vedasi precedente reportage fotografico in Omissis), i complicati meccanismi di assistenza dei pazienti in un immobile vecchio di oltre cinquant’anni, dotato di un solo ascensore che, peraltro, spesso si guasta con conseguente «prigionia» di alcuni dei ragazzi ospiti ai piani elevati, ed altro ancora.
Abbiamo pure ricordato che a causa del pasticcio sull’agibilità strutturale e del corto circuito tra comune di Eboli e centro medico, è in corso un processo per abuso d’ufficio presso il tribunale di Salerno dove risultano imputati il sindaco Martino Melchionda (foto a sinistra) e il vertice dell’Ises. Un processo che va avanti, seppur stancamente e burocraticamente come quasi tutti i processi italiani che non riguardino l’ex premier Berlusconi. Ma questa è un’altra storia.
Ci sono poi altre indagini in corso, qualcuna è stata archiviata, ma la situazione inizia a farsi incresciosa più per chi dovrebbe vigilare che non per chi è destinatario potenziale di provvedimenti. Si vedrà.
C’è anche un corposo dossier della Guardia di Finanza di Eboli sull’utilizzo di carburante per autovetture per fini -si presume- diversi da quelli cooperativistici: resta da capire se aver “indebitamente contabilizzato” – come si legge nel prospetto dei finanzieri- “nelle proprie scritture contabili” decine e decine di migliaia di euro (la relazione delle Fiamme Gialle, al riguardo, copre centinaia di pagine) abbia costituito illecito penale o meno, dal momento che sembrerebbe esser piovuta sul capo degli amministratori una multa per centinaia di migliaia di euro, poi ridotta ad un terzo.
Abbiamo pure ricordato gli intrecci familiari, le parentele, gli incroci politici ed economici che ruotano attorno all’Ises, ma una delle cose più curiose è di certo la contemporanea presenza nello stesso immobile del centro medico e di famiglie «normali»: il fabbricato è destinato a civile abitazione (di qui i guai insormontabili per l’agibilità), si paga un fitto con diversi zeri ai proprietari e all’interno vi abitano persone che lì hanno la propria casa e che col centro nulla hanno a che vedere.
Disabili, pazienti vari e cosiddetti normali, diversi dagli operatori sanitari, convivono come da nessuna parte del mondo è consentito. La circostanza non è passata sempre sotto traccia in questi anni e il punto è proprio qui: i controlli, se e quando sono stati fatti, come mai non hanno risolto il problema? Risultano, ad esempio, alcune contestazioni elevate nel 2008 che furono portate all’attenzione dell’allora direttore generale Federico Pagano
(foto a destra). Al centro vi era proprio la compresenza di soggetti «sanitari» e civili cui abbiamo accennato prima, oltre al piano antincendio ed altri elementi tecnici e strutturali. Dalla documentazione consultata, sulla scrivania del manager Asl di allora finirono il parere legale dell’avvocato Vito Iorio (datato 2006) una perizia tecnica giurata dell’architetto Umberto Salvatore (del 12/12/2006) e un certificato di prevenzione incendi del 6 marzo 2008. Si tratta degli atti a supporto delle contestazioni elevate da una commissione ispettiva. Se ne deduce che l’Asl si sia convinta delle spiegazioni fornite a chi sembrava volesse chiederne conto. In Italia, si sa, l’importante è che le carte stiano a posto, indipendentemente dalla realtà effettiva delle cose. A quanto pare oggi neppure le carte sono più a posto: e la corsa allo scarica-responsabilità potrebbe aver contagiato diversi livelli degli organi di controllo. A partire dal comune di Eboli per finire alla procura di Salerno, passando per l’Asl, i Vigili del Fuoco, l’Ispettorato del Lavoro, il Nas dei carabinieri, la Guardia di Finanza e chi più ne ha più ne metta. Cioè tutti quegli organi che quotidianamente vigilano e controllano sul rispetto delle leggi dei vari soggetti attivi della comunità. Chiedersi come sia stato possibile che le cose abbiano poi continuato a rimanere invariate, è una delle classiche domande con le quali si chiudono gli articoli di inchiesta. Appunto.
Peppe Rinaldi