E’ nel destino di tutti i rivoluzionari finire in pasto alla plebe. Anche di quelli taroccati, forse soprattutto per loro. Come nel caso di Giggineddu flop, alias di Luigi De Magistris appiccatogli dai calabresi ai tempi delle indagini di Catanzaro: il sindaco di Napoli, ex pubblico ministero della repubblica italiana, ha trascorso ieri la sua giornata peggiore, schiacciato dalla protesta della folla inferocita che, nella migliore delle ipotesi, ne chiedeva dimissioni istantanee. Che, ovviamente, non ci saranno mai.
Scontri con la polizia, cariche, fumogeni, una giornalista colpita all’orecchio da un petardo, manganellate ad un commerciante ottantenne, svenimenti, scene da far west metropolitano in una città ridotta a colabrodo: e le buche nell’asfalto c’entrano, stavolta, relativamente.
C’entra invece -e moltissimo- l’ostinazione del primo cittadino di non mollar la presa, di non cambiare, o modificare quasi impercettibilmente, la decisione di pedonalizzare il centro: un po’ come le rotatorie, anche le Ztl sono diventate una sorta di moda maledetta tra i sindaci, affezionati all’idea che abbassare il livello delle polveri sottili sia sufficiente a cambiare la vita di una città. E le tasche dei suoi residenti.
A Napoli non solo non ha funzionato la teoria del “Lungomare liberato” ma ha addirittura triplicato i guai di chi già era alla canna del gas: a partire dagli esercenti e dai piccoli imprenditori dell’artigianato e dell’accoglienza turistica. E ieri la serrata dei commercianti, quindi della cosiddetta «borghesia napoletana», s’è fatta sentire alla grande. Basti pensare che pure il mitico “Caffè Gambrinus” ha abbassato la saracinesca per capire di cosa stiamo parlando. Se a ciò unisci la rabbia delle storiche sigle dei disoccupati organizzati , ecco che la miscela da infiammabile si trasforma in esplosiva. I due cortei procedevano tranquillamente e stavano convergendo sotto Palazzo San Giacomo, sede del municipio, quando all’interno della manifestazione sembra si sia infiltrata una decina di personaggi sconosciuti, verosimilmente professionisti della protesta.
De Magistris, nel suo tipico riflesso condizionato, ha subito parlato di “infiltrazioni della camorra”: teste calde e pericolose ce n’erano sicuramente, come sempre (anche quando era lui stesso in prima fila ai vari presidi anti discariche prima di diventare sindaco) ma immaginare che la camorra si esponga in tal modo è -eufemisticamente- dilettantesca conclusione.
Partono le prime bombe carta, la folla inizia a disperdersi, i poliziotti in assetto antisommossa tentano di contenere il flusso allontanando la gente dall’area. Il minimo, in casi del genere, è entrare in rotta di collisione con gli agenti. Da una finestra in alto del palazzo si intravvedeva un preoccupato vice sindaco, il rifondatore del comunismo Tommaso Sodano, intento a guardare quella che un tempo era la sua gente. Il meglio che ha potuto dichiarare è stato: «Dovevamo curare di più le assemblee popolari». Assemblee popolari?
I disoccupati del comitato “Precari Bros” a un tratto si separano e vanno ad occupare il Maschio Angioino. I commercianti, invece, abbandonano il presidio sotto al comune e virano verso Posillipo dove De Magistris si trovava per uno dei suoi infiniti incontri pubblici.
Nel pomeriggio ancora forti disagi alla circolazione con momenti di tensione tra manifestanti ed altri automobilisti inferociti dall’ulteriore blocco. Il prefetto ha poi incontrato una delegazione di commercianti per tentare una mediazione. Il grido, però, è rimasto invariato: sindaco, sei tu che devi liberare Napoli.
Il che dà la cifra di un idillio tra De Magistris e Napoli vissuto solo nella mente di qualche fedelissimo e della tradizionale stampa napoletana, la stessa che ha celebrato per anni un “Rinascimento” finito nel cassonetto dell’immondizia.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’11 aprile 2013)