Ricordate la vicenda del centro “Ises” di Eboli (Sa), la struttura sanitaria alle pendici della parte antica della città che da anni incassa rimesse dall’Asl per circa 3 milioni e 700mila euro senza averne i requisiti di legge e la cui notorietà è andata aumentando al punto da suscitare l’interesse di due testate giornalistiche nazionali (Libero e La7)? Bene, ora la faccenda -per dirla con Karl Marx– inizia a volgere da tragedia in farsa.
Si apprende infatti dall’edizione locale del Mattino che 1) ci sarebbe un progetto di delocalizzazione in un’area periferica della città, Santa Chiarella; 2) che l’area individuata è destinata dalla normativa vigente ad attività agricola; 3) che l’idea sarebbe venuta in mente a qualcuno soltanto negli scorsi giorni; 4) che già si sono avviate le prime informali discussioni; 5) che l’amministrazione comunale (targata Pd) può contare su una maggioranza politica favorevole alla delocalizzazione; 6) che per tale operazione è necessaria una variante urbanistica; 7) che ci sarebbero resistenze interne alla maggioranza stessa determinate dall’interesse di un consigliere comunale la cui famiglia è proprietaria di terreni a destinazione sanitaria secondo il Prg vigente; 8) che, infine, tutto questo ambaradàn lo si mette in piedi per «tutelare i 90 posti di lavoro» che rischierebbero di andare perduti visto che il centro non potrebbe neppure esser funzionante se si considera la sua condizione di «fuorilegge», cioè non ha l’agibilità, le condizioni generali dell’immobile appaiono piuttosto precarie, mancano quasi tutti quei requisiti stringenti che la legge impone in casi del genere.
Nessun cenno, tra le tante «preoccupazioni» che assillano il sindaco ebolitano e la maggioranza che a lui risponde, a quei povericristi di pazienti disabili ospitati dalla struttura. Ma tant’è.
Ora, solo un demente può credere che tutto ciò sia possibile e corrisponda alle reali intenzioni dei proponenti, non si spiegherebbe altrimenti: spiace per i lavoratori, comprensibilmente appesi all’esile speranza che qualcuno sistemi le cose e cessi l’incubo di un’imminente perdita del proprio posto. Il punto è che prima o poi lo perderanno ugualmente se la vicenda non sarà sviscerata completamente. Per ora l’obiettivo sembrerebbe quello di far passare l’idea secondo cui «Avete visto? Noi ci siamo impegnati a risolvere il problema, volevamo delocalizzare il centro, abbiamo anche il terreno ma purtroppo si è messo di traverso il gruppo di interesse che fa capo al consigliere Mauro Vastola (cioè il politico la cui famiglia è proprietaria da tempo dei terreni destinati ad uso sanitario e che, tra l’altro, neppure sarebbero sufficienti per quel tipo di progetto, quindi parliamo di una cosa campata in aria, ndr) e pertanto non abbiamo potuto far più nulla».
Se dovesse passare un messaggio del genere nulla può escludere che i lavoratori mettano Vastola nel mirino e in capo a lui facciano ricadere le responsabilità di un disastro che ha invece radici lontane nel tempo: circostanze che il primo cittadino piddino di Eboli, Martino Melchionda (foto a sinistra in basso, a destra Mauro Vastola) conosce a menadito essendo egli stato per lunghissimo tempo amministratore della struttura, suo legale di riferimento (lo è, per interposta persona, anche oggi) oltre ad essere già imputato in un processo penale, in concorso con l’ex dirigenza del centro, proprio per la irregolarità dell’iter amministrativo-concessorio del comune. A meno che i consiglieri comunali pronti a votare la delibera non abbiano intenzione di finire in galera o passare il resto dei propri giorni a pagare all’erario le pesanti sanzioni imposte dalla Corte dei Conti -tra l’altro già prossima all’argomento via Asl- vien da pensare ad uno scherzo: invece, a quanto pare, è la tragica realtà di una cittadina di circa 40mila abitanti amministrata, pare, a mo’ di condominio.
L’aspetto «tragico» di questa storia è invece un altro, del quale ci siamo più volte occupati in passato: il sistema dei controlli, una falla apertasi non solo nei gangli dell’amministrazione locale ma anche in quelli dell’Asl che non provvedono pur sapendo, della Regione Campania, del Ministero della Sanità, dei vari uffici che hanno chiuso un occhio (in cambio di cosa?) dinanzi un centro che ictu oculi sembra cadere a pezzi (per non dire di ciò che un reportage fotografico ha indicato per gli ambienti interni e che abbiamo pubblicato alcuni mesi fa), tra i Vigili del fuoco che hanno in questi anni certificato idoneità varie, tra gli ispettorati succedutisi nei sopralluoghi imposti per legge, nella stessa prefettura di Salerno che non si capisce come mai non prenda posizione trattandosi di una cooperativa, per non dire della stessa magistratura salernitana, informata di ogni cosa da almeno un paio d’anni e che continua a traccheggiare dinanzi a un fatto così macroscopico.
Fonti ben informate riferiscono un altro dettaglio significativo relativo a questa vicenda: sembra che il progetto di delocalizzazione sia stato chiuso a lungo nel cassetto del presidente del consiglio comunale (si chiama Luca Sgroia, Pd, foto in basso a sinistra) il quale per non cadere nell’imbarazzo e nel ridicolo ha pensato giustamente di non farlo uscire finché ha potuto: poi, come sempre accade in questi casi, le carte fuoriescono per un motivo o per un altro ed ecco che le conseguenze non si fanno attendere.
Ma perché imbarazzo e ridicolo? Semplice: Sgroia è fratello di un magistrato in servizio a Salerno che, in linea teorica, potrebbe conoscere anche il dettaglio di una storia tecnicamente «illegale»; e poi nel centro vi lavora una sua parente diretta, la qual cosa rischai di trascinare lo stesso Sgroia, in genere attento ad un certo rigore “morale”, anche oltre il ridicolo.
Le parentele, gli intrecci, gli interessi condivisi o contrapposti, la presenza abnorme di personale ed i relativi legami con la politica locae: ecco il cuore del problema che rischia adesso di mandar per strada veramente un centinaio di famiglie oltre che gettare alle ortiche i poveri pazienti ospitati. Un problema del quale tratteremo diffusamente nella prossima puntata. (1-continua)