ARCHIVIOLa prevalenza del conformismo, il coro dei media e un’antitesi che non c’è: tutto è già scritto

admin30/03/2013
https://www.eolopress.it/index/wp-content/uploads/2013/03/Papi.jpg

Papi

La prevalenza dell’immagine sui contenuti nel moderno sistema dei media fa sì che si leggano discontinuità laddove la continuità è imposta dalla natura stessa del messaggio e lo stile personale sia visto come segno di frattura. E’ quanto sta avvenendo nella presentazione dei media del Pontificato di papa Francesco letto in antitesi con quello di Benedetto XVI.

Che ci sia una differenza di stili è elemento riconducibile all’insopprimibile diversità del genere umano, ma che questa debba tradursi in discontinuità d’insegnamento è circostanza incompatibile con la nozione di Tradizione nella Chiesa. Una prova a favore dell’argomento della continuità è offerta tra l’altro dall’attenzione dimostrata da papa Francesco per la custodia del Creato, tradotta in termini laici, per i temi ecologici, per cui si spende anche tanta parte del francescanesimo. La ragione è nel Cantico delle Creature, ma senza dimenticare che, se S. Francesco loda il Creatore attraverso le sue creature, conclude il suo cantico con l’ammonizione per il peccato mortale (Guai a quilli ke morranno ne le peccata mortali), il solo vero ostacolo al raggiungimento dell’armonia del creato nella perfetta comunione col Creatore.

E non a caso Benedetto XVI ha voluto ricordare nel pieno delle oleografiche commemorazioni del cinquantenario dell’inizio del Concilio Vaticano II e del suo momento- simbolo, il discorso della luna di Giovanni XXIII, quanta parte il peccato originale ha nella storia degli uomini e della stessa Chiesa. Eguale attenzione e con toni più incisivi il Pontificato di Ratzinger ha dedicato al tema ecologico nell’enciclica sociale Caritas in veritate al capitolo 52 e fino al punto da dedicare la giornata mondiale della pace 2010 al rispetto del Creato quale premessa per la pace tra le nazioni. La riflessione di Benedetto XVI, come quella di papa Francesco, non si esaurisce nella sola questione ambientale, ma coinvolge tutto un modo di concepire l’uomo strettamente correlato al modo di rapportarsi con la natura e con il suo stesso significato.

Ratzinger ha coniato l’espressione “ecologia umana”, intendendo non solo il rapporto dell’uomo con l’ambiente, ma anche il rapporto dell’uomo con se stesso. Bergoglio nell’omelia per l’inizio del Pontificato ha usato l’immagine dei “moderni Erode che deturpano il volto dell’uomo e della donna”. Chiaro il riferimento alle politiche statali di assimilazione al matrimonio di ogni tipo di unione, con passaggio da un regime privatistico e contrattuale ad uno pubblicistico e di status, riferimento pure preceduto dalla critica di Ratzinger, nel suo ultimo discorso natalizio alla Curia romana, al modello gender, oggi in voga, per cui la stessa differenza di natura è ricondotta a differenza di cultura. Due Papi, due stili a confronto, pur nella continuità del messaggio e dell’insegnamento anche in quegli elementi che vengono percepiti, piuttosto superficialmente, come novità o rottura.

Piuttosto è sull’enfasi ricorrente che papa Francesco pone sulla sua funzione di Vescovo di Roma che si concentrano alcune domande, tutte rivolte alla definizione della natura e del contenuto del ministero petrino. Che questo sia indissolubilmente legato alla Cattedra episcopale di Roma è nozione fin troppo scontata sin dai tempi delle controversie con Costantinopoli incentrate, più che sulla successione a Pietro e al suo peculiare carisma, sulla concezione della traslatio imperi, ovvero sulla successione politica della “seconda Roma” nel tardo antico. Più di recente, il concilio Vaticano II ha riproposto la questione del primato petrino entro la nozione più ampia di collegialità episcopale, ovvero nel rapporto nel governo della Chiesa universale tra il Papa, successore di Pietro e capo del Collegio apostolico, e i Vescovi quali successori degli Apostoli e membri del collegio.

La soluzione adottata, non senza la determinante mediazione di Paolo VI con la sua nota explicativa praevia, è quella oggi contemplata dal canone 333, il cui paragrafo 2° specifica anche che “il Romano Pontefice, nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione agli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio”. Una scelta rimessa dunque alla totale discrezionalità del Papa, pur nell’immutabilità del diritto divino del primato del Vescovo di Roma, per cui “non si dà appello né ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice” (can. 333, §3). Dunque al Papa compete anche la prerogativa sovrana di determinare le forme di esercizio del suo ministero che certo non contempla una kenosis (svuotamento) del primato petrino.

Ed è la sfida lanciata da Giovanni Paolo II che, nell’enciclica Ut unum sint sull’ecumenismo, dichiarava la possibilità di rivedere le forme di esercizio del primato pur di favorire la causa dell’unità. Ed è evidente che anche per papa Francesco questa sia una necessità avvertita sia per il dialogo ecumenico sia per i rapporti interni alla Chiesa cattolica, tra centro e periferia. Tuttavia, tra i primi atti, almeno uno appare in disarmonia con l’esaltazione della funzione episcopale romana, la scelta di celebrare in un carcere minorile la messa in Coena Domini del Giovedì santo.

La messa della Cena del Signore è memoria dell’istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio ministeriale, quindi attiene al mistero stesso della Chiesa. Per tradizione della chiesa romana il luogo di celebrazione è proprio la cattedrale di Roma, l’arcibasilica lateranense, sede della cattedra del Vescovo Francesco. E’ altresì vero che questa scelta è in linea con il suo invito ad “andare verso le periferie dell’umanità”, ma vi sono momenti che, per la loro altissima simbolicità, richiedono il contesto loro proprio.

Un contesto di specificità presente anche nella vita di Gesù che gli evangelisti Marco e Giovanni, pur con particolari divergenti, pongono all’inizio della Passione. E’ l’episodio della donna che a Betania in casa di Simone il lebbroso (Lazzaro) versa sul capo di Gesù per Marco, sui piedi per Giovanni, un unguento prezioso di nardo del valore di trecento denari. Di fronte alle obiezioni scandalizzate degli astanti (Marco), di Giuda (Giovanni), tutte però convergenti sulla qualificazione come spreco (perditio) per l’uso dell’unguento di fronte alla possibilità di beneficarne i poveri, netta è la replica di Gesù: “I poveri li avete sempre con voi, e quando vorrete, potete beneficarli, ma non avete per sempre Me”. E, in riferimento alla donna “Ovunque sarà predicato questo Vangelo in tutto il mondo, sarà ricordato ciò che questa ha fatto”. Esiste argomento più eloquente contro ogni deriva verso il pauperismo?

Nicola Russomando

© RIPRODUZIONE RISERVATA

admin

Leave a Reply