ARCHIVIODai pm carte con tranello alla Camera dei deputati

admin08/03/2013
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Lavitola Valter De Gregorio Sergio

C’è un problema nella richiesta di autorizzazione a procedere inviata alla Camera dei deputati dalla procura di Napoli per ottenere il via libera all’apertura della cassetta di sicurezza e all’acquisizione di alcuni tabulati telefonici di Silvio Berlusconi. Parliamo dell’inchiesta sulla presunta corruzione volta a far cadere il governo Prodi nel 2008, in cui risultano indagati Valter Lavitola, (foto a sinistra) il senatore Sergio De Gregorio (foto a destra) e l’ex presidente del consiglio. 

 

 Un problema di contenuti alterati -diciamo-, una di quelle strane circostanze che potrebbero trascinare nell’errore i parlamentari della giunta e, eventualmente, l’aula di Montecitorio quando si tratterà di discutere il da farsi. Ricordate l’imprenditore italo-argentino Carmelo Pintabona, amico di Valter Lavitola, acciuffato in aeroporto poco prima di partire, sbattuto in carcere per una tentata estorsione a Berlusconi e poi ritualmente assolto? L’uomo era stato accusato, tra l’altro, di aver partecipato al medesimo disegno criminale di Lavitola secondo il quale l’ex direttore dell’Avanti sarebbe stato custode di tali e tanti segreti in grado di distruggere il leader del Pdl: segreti «incarnati» in un paio di lettere che, al tempo della latitanza di Lavitola, lo stesso Pintabona avrebbe esibito, oltre ad averne discusso verbalmente con  Berlusconi, al fine di lucrarci qualche milioncino. Lavitola è stato condannato lunedì scorso a 2 anni e otto mesi, Pintabona al contrario è stato assolto.

Ma non è questo il punto, trattandosi solo del contesto entro il quale ci muoviamo. Dunque, a pagina 11 della richiesta inoltrata al parlamento dai pm si legge, tra le altre cose, che «…non aveva (il Pintabona, ndr) consegnato a sua volta la lettera, da lui ricevuta per essere consegnata a Berlusconi, preferendo solo riassumerne verbalmente i contenuti nel primo incontro che aveva avuto con lo stesso Berlusconi in Italia». Si dà, quindi, per scontato che questo elemento sia suffragato dalla certezza, altrimenti i futuri deputati che dovranno discutere di questo “dettaglio” potrebbero trovarsi a prendere decisioni sulla base di informazioni errate. Ed è proprio quel che emerge dal confronto con le varie deposizioni ed interrogatori resi dallo stesso Pintabona ai pubblici ministeri napoletani. Cioè l’imprenditore non ha mai affermato una cosa del genere, negli atti non c’è traccia di passaggi nei quali ammette di «aver discusso con Berlusconi» del contenuto della famigerata lettera ricattatoria. Sembra un banale elemento riferibile ai soliti «errori materiali» ma non lo è, o quantomeno non appare tale dal momento che la faccenda si presenta piuttosto complessa: per non dire, poi, della circostanza che i membri della giunta per le autorizzazioni, ove mai fossero distratti per una qualsiasi ragione e non andassero a confrontare le affermazioni dei magistrati con gli atti ufficiali allegati, rischierebbero di orientarsi in un modo piuttosto che in un altro.

E allora come si spiega tutto ciò? Questo Libero non è in grado di dirlo, ogni illazione rimane possibile. Chi, invece, ha in proposito le idee molto chiare è l’avvocato difensore di Pintabona, cioè colui che l’ha appena tirato fuori dai guai, il penalista Mario Papa. Il quale va direttamente al sodo e a Libero dice: «Questa affermazione dei pm non trova riscontro nelle dichiarazioni fatte dal Pintabona che, nel corso dei suoi interrogatori, ha sempre chiarito di non aver mai riportato a Berlusconi alcuna delle circostanze contenute nelle due lettere avute dal Lavitola». «Del resto – continua Papa-, i pubblici ministeri, pur contestando a Lavitola e Pintabona di aver utilizzato i fantomatici segreti contenuti in quelle lettere per tentare di estorcere denaro al Premier dell’epoca, non hanno mai sostenuto che il Pintabona li abbia rappresentati a Berlusconi».

Come se ne esce allora da questo rompicapo? «Vaste programme» avrebbe risposto qualcuno. 

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’8 marzo 2013)

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