ARCHIVIODimissioni petrine: il «segno» che contraddice la molteplice menzogna dell’uomo

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Papa

«Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum». Queste le parole con cui Benedetto XVI ha annunciato al concistoro e al mondo la sua volontà di dimettersi da Papa. La sicura consapevolezza acquisita nel ripetuto esame di coscienza innanzi a Dio del venire meno delle forze per l’appesantirsi dell’età, forze commisurate all’esigenza di svolgere adeguatamente il ministero petrino.

L’eccezionalità di questa dichiarazione, atto unilaterale non ricettizio, ovvero senza destinatari dell’accettazione, per cui ogni precedente storico risulta inadeguato, pone alcune domande sull’essenza del ministero petrino e sul primato nella Chiesa. Domande a cui si può tentare di rispondere attingendo alla sterminata produzione di Ratzinger, come teologo e come Papa.

L’essenza del ministero petrino si ritrova efficacemente descritta in un vecchio saggio del 1987 “Chiesa, ecumenismo e politica”, nella cui sezione “Il Primato del Papa e l’unità del Popolo di Dio” Ratzinger riprende gli argomenti dell’opuscolo del 1569 De summo Pontifice del cardinale inglese Reginald Pole, uno dei protagonisti del Concilio di Trento e della Riforma cattolica, per iscrivere il primato del Papa nella prospettiva martirologica del capitolo 21 del Vangelo di Giovanni. “Il ministero del Papa è di per sé Croce e la Croce più grande possibile. Infatti cosa si potrebbe definire più vicino alla Croce e al tormento dell’animo della cura e del governo di tutte le chiese del mondo?” Cosicché per Pole la conseguenza è che “nessuno potrebbe seguire Cristo in ciò che concerne la gloria se non prima l’abbia seguito in ciò che, agli occhi degli uomini, non ha nessuna immagine di gloria”.

La sollecitudine per tutte le chiese del mondo, fondamento del primato di giurisdizione, sollecita l’altra domanda sull’essenza della Chiesa stessa. A questa ha dato una risposta lo stesso Benedetto XVI nell’Angelus di domenica 10 febbraio, la medesima data che si riscontra in calce al documento delle dimissioni, memoria di S. Scolastica, sorella di S. Benedetto, sotto il cui segno si era aperto il pontificato. Commentando l’episodio del Vangelo di Luca circa la chiamata di Pietro e dei primi discepoli nel contesto della pesca miracolosa, il Papa cita, come da sua abitudine, S. Agostino: “Due volte i discepoli si misero a pescare dietro comando del Signore: una volta prima della passione e un’altra dopo la risurrezione. Nelle due pesche è raffigurata l’intera Chiesa: la Chiesa come è adesso e come sarà dopo la risurrezione dei morti. Adesso accoglie una moltitudine impossibile a enumerarsi, comprendente i buoni e i cattivi; dopo la risurrezione comprenderà solo i buoni”. La Chiesa della storia che contiene “buoni e cattivi”, la Chiesa del Giudizio che conterrà solo i “buoni”: anche quest’immagine agostiniana usata da Benedetto XVI alla vigilia del suo annuncio di dimissioni si presta a letture attualizzanti che forse giustificano la considerazione di “forze non adeguate al giusto esercizio del ministero petrino”.

Che esistano all’interno della Chiesa forze di sorda opposizione al magistero di Benedetto XVI è stato comprovato in varie vicende del suo pontificato, ma che queste forze oggi possano considerarsi vittoriose è tutt’altro che pacifico, prova piuttosto di quel martirio a cui il successore di Pietro è chiamato a soggiacere. E di fronte alla logica dell’iperattivismo, Benedetto XVI conclude: “Gli insuccessi e le difficoltà non inducano allo scoraggiamento: a noi spetta gettare le reti con fede, il Signore fa il resto”. Di fronte ad un atto così grande quale le dimissioni di un Papa, al di là delle loro stesse motivazioni, non si può che rimanere attoniti.

Tuttavia sovviene un altro caso di dimissioni, questa volta evangelico, quelle del vecchio Simeone alla vista di Gesù presentato al tempio di Gerusalemme. Nunc demittis servum tuum Domine secundum verbum tuum in pace , “ora congedi il tuo servo, Signore, secondo la tua parola in pace”. Nello stesso tempo Simeone profetizza che il piccolo Gesù “è posto per la caduta e la resurrezione di molti in Israele e per segno di contraddizione, semeíon antilegómenon”Commenta Benedetto XVI nell’Infanzia di Gesù, sua ultima fatica teologica: “Qui non si parla del passato. Noi tutti sappiamo quanto Cristo oggi sia segno di contraddizione, che ha di mira Dio stesso. Sempre di nuovo, Dio stesso viene visto come un limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso. Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo, alla sua superbia”.

Perché non leggere anche nelle dimissioni di Benedetto XVI un semeíon antilegómenon, uno di quegli atti che più concretamente contrasta nella sua umile grandezza “la molteplice menzogna dell’uomo, il suo egoismo e la sua superbia”?

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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