E’ come se si fosse sollevato il velo che copriva la piaga. Si sapeva, cioè, che l’azienda per la mobilità napoletana fosse in seria crisi finanziaria ma che un’intera città potesse rimanere paralizzata dalla sera alla mattina (letteralmente) non s’era mai visto. Né a Napoli, né altrove. Neppure nel 1982, quando ci fu la dichiarazione di dissesto finanziario. E neppure nel 1943, durante i bombardamenti, si spinge qualcuno a ricordare. Finita la sceneggiata (amara, reale) si torna alla normalità.
Una di quelle che dà la dimensione di un disastro che affonda le origini in almeno un ventennio «amministrativo» recente. Sappiamo di chi e come. De Magistris ne risponde più per le aspettative create che non per oggettive responsabilità derivanti da meno di due anni di «rivoluzione» in bandana. Ancora per poco.
Ieri Napoli ha visto i suoi mezzi pubblici su gomma circolare con la solita regolarità: che, in genere, non rientra tra le esperienze più entusiasmanti da vivere in loco. Cessata l’emergenza tecnica di un gasolio che proprio non poteva riempire i serbatoi degli oltre 300 bus dell’Anm visto che i fornitori non facevano più credito, aggiustata la situazione con primi acconti e impegni di maggior regolarità in futuro, la città si è svegliata con l’ansia che su quei pullman non sarà più così facile salirvi. E non solo per la voragine debitoria che affligge un po’ tutto il sistema dei trasporti pubblici locali, quanto per l’amara constatazione che il parco auto, finanziato con le tasse di tutti, si presenta in condizioni drammatiche.
Dai vari resoconti giornalistici e dalla diretta conoscenza del problema, ne deriva un problema molto concreto: autobus vetusti, carenza di operai esperti di meccanica, manutenzione blanda se non impossibile per le note inquietudini finanziarie, e così via. «Gomme lisce e freni logori» titolava ieri il Corriere del Mezzogiorno, andando direttamente al cuore della faccenda.
Quante volte si è celebrato il paragone tra Napoli e Cuba, riferendosi alla comune, naturale musicalità della gente: vero, ma ora il confronto si fa più calzante se si considera che i dipendenti dell’Anm spesso fanno quel che i cittadini caraibici sperimentano ogni giorno. Vale a dire arrangiarsi, inventarsi meccanici, montare i pezzi buoni di un autobus in disuso su quello ancora circolante, sistemare gli ingranaggi, scardinare un fanalino da questo per metterlo su quello. Probabilmente accade anche altrove ma, dopo lo «scuorno» di una città appiedata per mancanza di nafta, la storia è diventata una delle innumerevoli priorità. Quasi come la munnezza che, tra le altre cose, non tarderà a rifarsi viva.
Il sindaco, subissato dalle critiche, ha prima sciorinato i sui classici («E’ sospetta tutta questa attenzione, proprio ora»), poi ha preso a rassicurare la città sull’immediata soluzione del disastro. Come poi è successo. Solidarietà varie sono piovute sul suo capo da parte di colleghi: da Alemanno a Graziano Del Rio, sindaco di Reggio Emilia e presidente Anci. Lo stesso Caldoro, nell’immediatezza dei fatti, aveva già provato a liberarlo da una lapidazione causata non solo – e non tanto- dalle dirette responsabilità (l’Anm è di proprietà pubblica) quanto piuttosto dal saldo negativo tra promesse di «scasso» del sistema e realtà quotidiana.
Al momento di «scassato» ci sono solo diverse decine di autobus. Oltre alle scatole di tantissimi cittadini.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’1 febbraio 2013)