«Quando mi ha detto di sfilarmi l’orologio dal polso e di consegnarglielo, non ci ho visto più dalla rabbia e sono andato alla Polizia a denunciare tutto». Sono le amare parole di Rosario Colella, titolare della “Manò Marine”, vittima della estorsione (allo stato, ovviamente, ancora presunta) subita per mano di uno storico sindacalista della Fiom-Cgil, Angelo Spena, (foto) ammanettato la scorsa settimana in flagranza di reato: aveva appena incassato una tranche di una tangente da 20mila euro chiesta all’imprenditore nautico per garantirgli maggior «pace sindacale».
Una tecnica, verosimilmente, abbastanza diffusa visti i diversi precedenti registrati sull’intero territorio nazionale.
Parole amare quelle di Colella, consegnate durante un’intervista al Mattino all’interno della quale ha ricapitolato la triste storia. E il «dettaglio» dell’orologio si rivelerà, alla fine, meno «dettaglio» di quanto possa sembrare: sì, perché ciò che portava al polso non era un orologio qualsiasi, seppur del valore di circa 5mila euro, quanto un oggetto legato alla memoria di suo figlio, tragicamente scomparso all’età di 17 anni. Colella ci teneva tantissimo, gli ricordava sempre quel figlio morto e i «litigi» in famiglia perché andare in giro, specie a Napoli, con un pezzo del genere al polso l’aveva già esposto ad un paio di tentativi di rapina.
«Spena sapeva benissimo quanto ci tenessi, gliel’avevo detto in diverse occasioni prima che iniziasse questa storia» dice il titolare dell’azienda che fino a due anni riusciva a produrre circa 450 imbarcazioni all’anno. Poi la crisi, qualche scelta aziendale sbagliata, e nel volgere di poco tempo il ciclo discendente. Lo conferma a chi gli chiede perché abbia accettato di sottostare alle richieste del sindacalista: «Tra crisi, paura del redditometro da parte della clientela e qualche investimento sbagliato, mi sono trovato con lo spettro del fallimento: pensavo, però, ai miei operai che a differenza di me non avevano molte chances di sopravvivere. Spena mi garantiva che le pratiche per la Cig per loro sarebbero andate in porto. Interpretai la tangente chiestami come una specie di consulenza, un costo da sopportare».
Si comincia sempre così, poi c’è l’inferno: «Prima mi chiese 10mila euro altrimenti gli operai avrebbero creato problemi, come in effetti avvenne con picchetti e proteste varie. Pagai e tutto tornò normale. Poi riapparve e mi chiese altri soldi, in contanti, che però non avevo: gli feci un assegno che intestai ad un suo amico sarto. Pretendeva di tutto, non solo soldi, mi mandava perfino sms».
Fino a quando le cose degenerano per via dell’orologio: «Mi chiese di togliermelo e di darglielo, eravamo all’Inps per le pratiche della mobilità».
Il resto è cronaca con Sena ai domiciliari ed espulso dalla Cgil. Nel suo ufficio è stata trovata parte del danaro estorto a Colella.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 29 gennaio 2013)