I reati non sono tutti uguali altrimenti le pene non sarebbero diverse tra loro. C’è, però, un certo «soggettivismo» nell’interpretarne l’importanza, soprattutto se sei del Pd e fai discendere le valutazioni dagli umori generali e dal «sentiment» delle procure.
Prendiamo il caso delle liste in Campania del Pd. C’erano alcuni candidati «opachi», si doveva decidere se tenerli in gioco o farli fuori. In tre casi i probiviri hanno optato per un drastico taglio, in uno solo hanno tenuto la barra ferma. Nei primi si parlava di concorso in abuso d’ufficio e robette varie, nel secondo c’è un processo per calunnia giunto alle battute finali. Stiamo parlando della «opaca» (appunto) faccenda della capolista al Senato, la giornalista del Mattino Rosaria Capacchione (foto). Storia intricata, per molti versi ambigua, sicuramente figlia di tempi in cui l’etichetta di «anticamorra» sembra offrire garanzie migliori di qualsiasi faldone processuale: la Capacchione, si sa, è sotto scorta per minacce subite dai Casalesi. La scorsa settimana c’era l’ultima udienza del processo ma, per il «legittimo impedimento» del difensore, è stato differito all’1 marzo, ad urne chiuse.
Ma cosa successe in quel 2004 tanto da esporre l’ennesima icona dell’antimafia al calvario di un processo tanto insidioso? Rosaria ha un fratello, Salvatore, che fa il costruttore. Già negli anni ’80 si trovò al centro di una bancarotta per una lottizzazione a Ponticelli di Napoli. Numerosi risparmiatori finirono con un pugno di mosche in mano dopo aver pagato alloggi in cooperativa. Un groviglio di scatole cinesi, società di varia natura, miliardi di lire e milioni di euro che vorticavano furiosamente, indussero i magistrati ad emettere mandato di cattura per Salvatore, con relativo sequestro dei beni. Due procure vi hanno lavorato oltre a S. Maria Capua Vetere: Perugia e Roma, dove il processo è rimpallato per il coinvolgimento di alcuni magistrati della Fallimentare.
In base all’inchiesta fatta dalla Gazzetta di Caserta, che da anni segue il caso, Salvatore avrebbe fatto transitare sui conti di Rosaria molto denaro, verosimilmente per sfuggire alle ganasce giudiziarie. Tracce del passaggio dei soldi, tra il ’95 e il 2001, sono state trovate presso la Banca di Roma a Frasso Telesino, la Banca Popolare di Castrovillari e Corigliano Calabro, l’Ambroveneto di Napoli e la Bnl di Caserta. Il volume, tra assegni e contanti, ammonterebbe a 5 miliardi di lire. Chi svolgeva le indagini in loco era il maresciallo della Finanza Luigi Papale, che aveva ricostruito tutto il dossier su Capacchione.
Un giorno la sorella riferisce al comandante della Gdf, il maggiore Capriello, che il suo sottoposto era stato corrotto da imprenditori rivali di Salvatore, la famiglia Coppola, per il tramite di tale Antonio Acconcia: lo scopo era incastrare suo fratello per agevolare le mire dei Coppola sull’area dismessa della Saint Gobain. Il maggiore, dinanzi ad un’evidente notitia criminis, che peraltro riguardava un suo uomo, relazionò alla magistratura, che passò ai raggi X il maresciallo. Non fu trovato nulla, manco un centesimo, non c’era stato alcun rapporto con i Coppola né con altri. Di qui la denuncia per calunnia, reato grave perché presuppone non solo l’offesa del singolo, ma la consapevolezza di dar notizie false facendo aprire un procedimento giudiziario in danno di un innocente.
In alcune intercettazioni sono emersi sfoghi pesanti tra Rosaria e il fratello, dove addirittura si parlerebbe di «andare a prendere quel maresciallo con il mitra», così come dalle indagini sarebbero pure emersi -secondo il racconto della Gazzetta– fax di smentite alle notizie dal giornale pubblicate partiti dalla redazione del Mattino firmati da Salvatore. Il quale viene arrestato una seconda volta (insieme ad un sodale di Zagaria) per una vicenda analoga a quella di Ponticelli. La prima bancarotta è già prescritta, la seconda pare vi sia vicina.
Rosaria, ascoltata in procura il 26 aprile del 2011, non ha negato di aver detto quelle cose ma di averlo fatto così, tanto per dire qualcosa dinanzi ad un caffè, non immaginandone le conseguenze infernali.
Ma per il Pd sembra più grave la strada asfaltata contestata a Crisafulli in Sicilia che non questo materiale, oggettivamente incandescente.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 22 gennaio 2013)