Antonio Gramsci, il finissimo cervello a cui bisognava impedire di pensare a qualsiasi costo (copyright Benito Mussolini) non avrebbe mai immaginato che un giorno una volgarissima società di capitali potesse muoversi ed agire in suo nome. Specie se a farne le spese sarebbero stati nipoti, pronipoti ed eredi (politici ) vari.
Certo, ci sono migliaia di altre cose che uno tra i più imponenti pensatori marxisti del secolo scorso si sarebbe sognato di vedere: una Rosy Bindi alla presidenza del «suo» partito, un neofascista poi collaborazionista alla presidenza della Camera, pubblici ministeri freschi di indagini seduti a Montecitorio e Palazzo Madama, giusto per fare qualche esempio. I ricchi al potere no, quelli li conosceva bene da tempo. Ma che il suo nome fungesse da ragione sociale di una società a responsabilità limitata e che questa addirittura trascinasse in tribunale i rappresentanti del suo stesso partito, seppur sotto mentite spoglie (leggi Pd) per vili questioni di moneta, questo proprio non avrebbe potuto pensarlo. Eppure è successo, a Salerno, seconda città della Campania, all’interno di una pochade interna alla sinistra campana dal tratto esilarante. Come riescono a scannarsi tra loro, si sa, non riesce a farlo nessuno.
La “Gramsci srl”, sorta di ossimoro che indica la società di gestione del patrimonio immobiliare del Pci, creata nel 1965 con i soldi di migliaia di «compagni» che cedevano l’obolo in attesa dell’imminente sol dell’avvenire, ha in pratica sfrattato la federazione provinciale del Pd dalla sede di via Manzo a Salerno. Sede storica, al punto che nei discorsi di ognuno era diventato un modo di dire esprimersi con “quelli di via Manzo”, oppure “da via Manzo arrivano precise direttive” e così via. Gli attuali nipotini dell’uomo che sovente toglieva il sonno al duce, da due anni e passa non pagavano più l’affitto. Sollecita oggi, sollecita domani, alla fine l’amministratore dell’immobiliare rossa passa alle vie di fatto. Anzi, a quelle di diritto, perché incarica un avvocato per avviare le procedure di sfratto. Era pure intervenuto Ugo Sposetti, cassiere del partito di Bersani, per cercare di mediare almeno sull’entità del canone ma poi la cosa è degenerata.
Ma come, si fanno queste cose tra compagni? Gramsci ballerà pure nella tomba ma i suoi scoloriti eredi, a quanto pare, le fanno eccome. E non sono neppure le peggiori. Sta di fatto che il 28 febbraio, -neppure il tempo di riprendersi dalla sbornia elettorale- il Pd dovrà trovarsi una nuova casa. «Bersani» deve a Gramsci 56mila euro, non paga più il fitto da 2mila euro mensili da un bel po’ di tempo: a tutto c’è un limite, specie se all’amministratore manco rispondevano più al telefono. E chi sarà mai questo amministratore?
La “Gramsci srl” è guidata da Mario De Biase, ex sindaco di Salerno, storico funzionario di partito, per decenni legatissimo all’uomo forte del Pci-Pds-Ds-Pd, Vincenzo De Luca, fino a quando tra i due non è calato un gelo siberiano: specie dopo il passaggio di De Biase nelle file dell’odiatissimo Antonio Bassolino. C’è molto di personale in questa faccenda, ovvio, che però ha già preso una piega «comica» per via del fatale incrocio di nomi e circostanze. Nel senso che a patrocinare la causa di sfratto per morosità dinanzi al giudice Iannicelli della I sezione civile è stato un avvocato che con la vicenda storica comunista nulla ha a che vedere. Anzi, è il contrario, perché Lello Ciccone (questo il nome del legale) è militante, dirigente e politico di prima linea del Pdl, ex assessore provinciale con l’ultra destrorso Edmondo Cirielli.
Insomma, l’Antonio Gramsci che avevamo lasciato poche righe più su mentre ballava nel sepolcro per via di tale e tanto inghippo, pare abbia ripreso a scrivere. Lasciati i memorabili “Quaderni dal carcere” è direttamente passato a quelli dalla tomba.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 19 gennaio 2013)