ARCHIVIOUna clinica abusiva dentro un condominio: e con soldi pubblici

admin20/11/2012
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Asl-salerno

Può un’azienda sanitaria pubblica finanziarie una struttura abusiva? Ovviamente no, non può. Né deve. Invece succede. Dove? Ad Eboli, provincia di Salerno, mitico confine della civiltà leviana. Nel senso di Carlo. 

Nella parte antica della città esiste un centro medico che si chiama “Ises”: si occupa di riabilitazione, logoterapia, fisioterapia e assistenza ai disabili in generale. Svolge un servizio rimborsato, poi, dalla Regione: poco meno di quattro milioni all’anno. Il punto è che quella palazzina manca del requisito fondamentale non solo per ottenere le rimesse e/o rapportarsi con la pubblica amministrazione ma per esistere in quanto tale: la certificazione di agibilità.

 

Più o meno è come se un cittadino non fosse registrato all’anagrafe: non potrebbe né ricevere né dare servizi pur se apparisse di sana e robusta costituzione. Nel caso dell’Ises sembra che manchi pure quella. Non ha l’agibilità perché è un condominio per civili abitazioni, lo si capisce ictu oculi ma, soprattutto, lo ha messo per iscritto l’ufficio tecnico del comune con diverse note mandate, tra gli altri, all’attenzione del sindaco Martino Melchionda. Il quale, dice la legge, può e deve fare una sola cosa: chiuderlo. Obbligatoriamente. Lo fa per bottegai, piccole imprese e artigiani col capello fuori posto, deve farlo anche stavolta. Almeno dovrebbe. Invece non succede nulla, neppure da quando il difettuccio è diventato di dominio pubblico. Cioè da oltre tre anni.

Ne ha scritto qualche giornale locale, lo sa l’Asl Sa/1, lo sanno il Nas e la Finanza, lo sa il Distretto sanitario 108 e lo sanno funzionari e dirigenti ai vari livelli, lo sanno i sindacati, i partiti, la minoranza e la maggioranza, lo sa la Regione Campania, il prefetto e lo sa pure il procuratore della repubblica. Il quale (unico ad aver agito finora non foss’altro per evitarsi rischiose distrazioni) ha già istruito un processo per omissione d’atti d’ufficio nei confronti dell’ex bassoliniano, oggi accanito bersaniano sindaco e il presidente della società di gestione. La cosa buffa è che, nonostante tutto il mondo ne sia informato, i soldi l’Asl continua a versarli. Come sia possibile è un mistero. Solo negli ultimi quattro anni è stata riversata una bella vagonata di milioni, circa dodici. Il fruttivendolo o l’elettrauto che abbiano aperto una finestrina nello sgabuzzino del proprio locale senza permesso, vengono stangati subito: stavolta tutto tace. Qualcosa non torna, lo capirebbe anche un bambino.

Cosa? Per esempio, potrebbe esserci questo motivo: il sindaco è stato amministratore del centro per moltissimi anni, condividendone segreti -si presume- e allori. Oltre che praticissimi onori. Essendo egli anche avvocato (tra l’altro pure bravo) ne ha patrocinato cause, gestito affari, esperito mediazioni, praticato aperture e chiusure politiche, come sempre avviene in casi del genere. Difficile immaginare non fosse a conoscenza di questo spiacevole «dettaglio» dell’assenza della certificazione legale. Di sicuro lo sa dal 2009 (come vedremo) e lo sa perché è imputato in un processo. Non solo: in quel centro vi lavorava la sorella fino a qualche tempo e vi lavora tuttora il cognato. E vi lavorano pure mogli e parenti di consiglieri comunali della maggioranza di centrosinistra. 

Uno dice: vabbè, se non c’è il sindaco ci sarà il vice, i numero 2 servono anche a questo. Neppure funziona: il secondo è addirittura nipote del titolare. Insomma, la solita storia del «teniamo famiglia». Storia che non finisce qui e che, anzi, raggiunge livelli parossistici il 6 novembre scorso. In Prefettura c’è stato un vertice per lo stato di agitazione dei lavoratori, alla presenza delle solite parti in causa. C’era pure il sindaco e un consigliere Pd la cui moglie lavora proprio lì (i conflitti di interesse riguardano sempre gli altri, si sa). 
Dichiara a verbale (prot. 653664/2012/Gab.) il primo cittadino: «Nell’anno 2009 l’Utc ritenne, e ritiene ancora, l’inagibilità dello stabile». Come se si  parlasse d’altri. I presenti, prefetto compreso, muti. E l’Asl che fa, ferma tutto in presenza di una dichiarazione del genere? No, la dottoressa  Antonia Scaramuzza, colei che materialmente eroga i fondi per questi centri sanitari, dice:«L’Asl per quanto attiene i pagamenti dichiara che sta provvedendo regolarmente al pagamento delle mensilità correnti come da contratto». Nel quale contratto si legge che nessuno può ottenere fondi pubblici se non ha i requisiti imposti dalla legge. S’è visto.
Ovvio che un malato di Sla si senta poi rispondere dalla prima Fornero che passa: «Mi spiace, non ci sono soldi».

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 20 novembre 2012)

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