ARCHIVIOAnche a Salerno monsignor Bettazzi spiega a Ratzinger cosa pensa il Papa del Vaticano II

https://www.eolopress.it/index/wp-content/uploads/2012/11/Monsignor_Bettazzi.jpeg

Monsignor Bettazzi

SALERNO- Il convegno sui cinquant’anni del concilio Vaticano II che si è tenuto a Salerno al centro sociale, organizzato dalle comunità parrocchiali del Volto Santo e di Gesù Redentore, ha visto come relatore mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e presidente di Pax Christi

 

 

Bettazzi, classe 1923, vescovo a quarant’anni nel 1963, è tra i sessantanove superstiti dell’assise sinodale che lo scorso 11 ottobre hanno partecipato con il Papa all’apertura dell’anno della fede nella ricorrenza altresì della cerimonia d’inizio del concilio nel 1962. E a Bettazzi non ha fatto difetto la verve, che da sempre lo caratterizza e che, lungi dal relegarlo nel novero dei patriarchi sul fronte anagrafico, ne fa un’icona vivente dello “spirito del concilio”. Con questa sigla si è voluto da parte dei settori progressisti della Chiesa convalidare la pretesa di una continua riforma che andasse oltre la lettera dei testi dell’assise stessa. Una ecclesia semper reformanda che partisse dal Vaticano II per approdare oltre la forma e la sostanza della sua stessa costituzione, voluta, come dovrebbe essere chiaro, da Gesù Cristo. Non così per Benedetto XVI che invece invita a riscoprire la lettera del concilio per ricollocarla nell’alveo di duemila anni di Tradizione.

Su questo Bettazzi ha addirittura ipotizzato l’inautenticità di quanto pubblicamente dichiarato da Ratzinger nel suo primo anno di pontificato, allorché, nello scambio di auguri natalizi con la curia romana, tenne uno dei suoi discorsi più citati, sintesi della sua esperienza di teologo e di pastore, proprio sull’ermeneutica della discontinuità contrapposta a quella della continuità nella ricezione del Vaticano II.

“Quel che scrivono per il Papa”, è stata la sua lapidaria sentenza, quasi che in un discorso del genere possa intervenire un qualsiasi ghost writer anche solo per contribuire ad illustrare una potente sintesi di pensiero autenticamente ratzingeriana. Del resto, la ricostruzione offerta da Bettazzi all’uditorio salernitano è stata ritmata dal continuo richiamo alle barzellette fiorite tra concilio e postconcilio, che rappresentano anche una chiave di lettura dell’immaginario del clero dell’epoca di fronte ad uno degli eventi storici del XX secolo. Bersaglio preferenziale di queste amenità, il cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto di quello che fu il Sant’Uffizio, oggi Congregazione per la Dottrina della Fede, predecessore dello stesso Ratzinger, assurto a simbolo dell’anticoncilio.

Bettazzi ha ricordato varie battute, alcune anche grevi, circolanti sul conto del porporato durante il concilio, ma ha anche menzionato un ricordo di Helder Cámara, vescovo brasiliano di Recife, tra i più schierati sul fronte pauperistico, che attestava la preghiera di Ottaviani di non diventare ostacolo all’azione dello Spirito. Normale dialettica tra uomini animati da sincere intenzioni, ma anche da visioni della Chiesa non sempre conciliabili. Così sul fronte terzomondista, con una delle chiavi d’interpretazioni della costituzione più controversa del Vaticano II, la Gaudium et spes, sui rapporti tra Chiesa e mondo contemporaneo, sulla cui stesura Bettazzi è intervenuto personalmente, non sono mancati i riferimenti al cosiddetto “patto delle catacombe”. Così è stato definito infatti il conciliabolo di una quarantina di vescovi, per lo più del terzo mondo, che, a margine dell’assise ufficiale, elaboravano appelli per soluzioni più radicali a favore dei poveri. Quella che poi diventerà l’opzione preferenziale per i poveri delle conferenze episcopali latino-americane con tutto il seguito di teologia della liberazione a creare commistioni tra marxismo e Vangelo. Su questo punto Bettazzi non ha evidenziato nessuna autocritica, preferendo invece addebitare alle “paure” di Paolo VI le conseguenze negative dello stallo della novità conciliare. Sicchè l’ironia sul peccato originale, l’affermazione dell’universalismo della salvezza che non ha nella fede in Cristo il suo nucleo essenziale con il battesimo, la stessa eucarestia riportata a nozione comune con la cena protestante per cui “comunque si riceve Gesù” al di là di ogni definizione dogmatica, sono affermazioni di quello “spirito del concilio” che ancora aleggia tra i suoi tardi assertori.

Vi è da chiedere a questo punto, come ha fatto Bettazzi, quale bilancio si possa stilare dei cinquant’anni dal concilio. Di sicuro, al di là delle responsabilità storiche, non vi è stata quella palingenesi della Chiesa e dell’umanità che veniva ottimisticamente prefigurata dai suoi sostenitori sotto le spoglie di una “primavera dello Spirito”. Al contrario, l’attenuazione dell’identità cattolica deve essere addebitata anche a chi, pur con le migliori intenzioni, si è fatto interprete di una traduzione del concilio adatta ad ogni esigenza. E su una cosa si può essere d’accordo con mons. Bettazzi, sulla necessità che i laici, facendo leva sulla lezione del concilio, si facciano promotori di conversione per il clero. Specie per quelli a fide devii, come recitano le antiche raccolte canonistiche. 

Nicola Russomando

© RIPRODUZIONE RISERVATA  

Redazione Eolopress

Leave a Reply