Marta Santoro (nella foto al centro con due sottufficiali estranei all’indagine) e Antonio Petillo restano in carcere. Il tribunale della libertà ha sciolto la riserva poche ore fa ed ha confermato la misura cautelare emessa dalla procura della repubblica che il 3 ottobre scorso dispose l’arresto dei due coniugi, ex comandanti delle caserme della Forestale rispettivamente di Capaccio e Foce Sele.
I giudici (presidente Palumbo, a latere Indinnimeo e Rulli) chiamati a pronunciarsi sulla regolarità formale e sostanziale dei provvedimenti del pubblico ministero Maurizio Cardea hanno in pratica sposato la tesi accusatoria valutando i rischi esposti in caso di accoglimento dell’istanza di scarcerazione presentata dai legali dei due ex sottufficiali del Corpo forestale dello stato. In linea di principio, il pericolo di inquinamento delle prove e la reiterazione del reato.
Marta Santoro a questo punto sarà trasferita nel carcere di Peschiera del Garda, unica struttura italiana che contempla un reparto per detenuti militari di sesso femminile. Il marito, invece, resta là dov’è rimasto sin dal giorno successivo alla manette, cioè ai domiciliari. Una scelta quasi scontata, si direbbe, dal momento che la mole di accuse piovuta sui due presenterebbe profili di assoluta gravità: la richiesta di danaro e/o altre utilità a circa quaranta imprenditori della Piana del Sele, degli Alburni e del Cilento, in cambio di alleggerimenti dei controlli di legalità, se non addirittura per evitarli. Uno scenario ovviamente tutto ancora da provare ma che si fa verosimile se si considera la qualità e la quantità del raggio d’azione operato soprattutto dalla signora Santoro. E se si conosce un po’ il territorio.
La vicenda sta assumendo rilievi pesanti perché ci sarebbero nuovi filoni all’attenzione degli inquirenti: in primo luogo si sta cercando di capire se le numerose, vantate «amicizie» della signora Santoro in procura possano ancora limitarsi all’ordinaria accusa di millantato credito, che pure le è stata contestata nell’immediatezza dell’arresto. Un’ipotesi che non sembra convincere del tutto né i carabinieri, che materialmente hanno svolto le indagini, né la stessa magistratura inquirente che attorno a questa storia sta cercando di trovare una via d’uscita concreta. E non è detto che non possa accompagnarsi con fatti -come dire?- traumatici che riaprirebbero i giochi ed espanderebbero lo scandalo oltremisura. Va considerato pure un elemento decisivo: vale a dire che Marta Santoro e il marito, agivano autonomamente ma non senza il «visto» della procura, il che non è affare da poco in un contesto complicato e fuorviante com’è venuto rappresentandosi nel corso del tempo. Ipotesi al vaglio di Cardea e che certamente gli pongono grattacapi ulteriori: così come, inutile dirlo, rallegrano poco il capo dei pm salernitani Franco Roberti.
In tutto questo guazzabuglio affiora poi un’altra indiscrezione di peso: la Santoro avrebbe anche esercitato «pressioni» su società calcistiche della zona per far inserire nel circuito agonistico un suo parente. Tutto questo grazie alla mediazione di un grosso imprenditore del salernitano con interessi diffusi sul territorio -quindi anche nel comprensorio di pertinenza della coppia- e nel mondo del pallone. Perché o per cosa non lo si è ancora decifrato ma, considerando le attività dell’imprenditore «suo amico» è facile farsene un’idea. Illazioni, al momento, derivanti però da indiscrezioni generalmente fondate.
Oggi, intanto, si è insediato il nuovo comandante della caserma di Capaccio.
Peppe Rinaldi
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