ARCHIVIOLa Prefettura di Napoli rifatta da un’impresa in odore di clan

admin04/10/2012
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Prefettura-napoli

E’ successo ad Ingroia a Palermo, perché non potrebbe succedere ad altri a Napoli? Qualche anno fa il famoso pm affidò la ristrutturazione della casa di campagna ad un’impresa edile che, si scoprì dopo, era organica al medico-boss Michele Aiello. La storia è nota. Meno nota è quella della nuova sede del nucleo di controllo sulle infiltrazioni mafiose negli appalti. In un’informativa, peraltro giunta ad un soffio dalla consegna dei lavori, è scritto che l’impresa appaltante sarebbe vicina ai clan.

 

Contratto stracciato e blocco dei lavori. E dire che proprio ieri in città c’erano i ministri della Giustizia e dell’Interno per la stipula del «Patto per Napoli». Avrebbero dovuto inaugurarla, si è preferito glissare sull’argomento. Comprensibilmente. I fatti sono andati così, stando alla ricostruzione del Corriere del Mezzogiorno: il Provveditorato alle opere pubbliche di Campania e Molise indice una gara d’appalto di circa 140mila euro per la ristrutturazione dell’immobile prefettizio destinato ad accogliere il gruppo interforze. La gara la vince la «Scoglio spa», impresa di Sant’Antimo, praticando un ribasso di oltre il 34%. Direttore dei lavori era l’ingegnere Orabona, tecnico della prefettura con esperienza nelle commissioni d’accesso nei comuni sospettati di infiltrazione. La prefettura si è trovata nell’insolita veste di destinataria di una nota redatta da un suo ufficio secondo cui il centro in costruzione è esso stesso potenzialmente «infetto».

Se nessuno si fosse accorto di nulla o, meglio, se uno dei funzionari addetti non avesse fatto in tempo la visura, la Severino, Caldoro, De Magistris, la Cancellieri e decine di alte figure istituzionali, si sarebbero trovati in una palazzina realizzata da un imprenditore in odor di camorra. Così sono le interdittive antimafia: basta che un parente abbia avuto un guaio con la legge o sia stato trovato in compagnia di un soggetto poco raccomandabile anche anni prima, per far scattare le tenaglie. Il guaio è che a volte si tratta di errori, in altri casi la relazione di un brigadiere di stazione poco accorto può essere determinante, così come un ufficio che comunica male con un altro. Le aule dei Tar e del Consiglio di Stato sono zeppe di ricorsi.

Nel caso di Napoli, il titolare della «Scoglio», Michele Ferone, nel 2009 era stato indagato per turbativa d’asta e associazione: ma la stessa procura ne aveva chiesto l’archiviazione, giunta nel maggio 2012. Significa che non aveva più alcuna pendenza. Lo si poteva appurare subito, certo, ma siamo pur sempre in Italia, dove a volte gli uffici pubblici stentano a «parlarsi» anche se le loro porte distano pochi metri. Qui hanno fatto giusto in tempo: e non è detto che la Scoglio non completi i lavori.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 4 ottobre 2012)

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