ARCHIVIOSalerno, il San Matteo che non ti aspetti: il folklore sbiadisce, cresce la sostanza

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Vocazione_s.matteo_caravaggio

SALERNO- Il tema della celebrazione per la solennità di S. Matteo 2012 potrebbe essere quello delle “stratificazioni”. Tale, infatti, è apparso il leitmotiv dell’omelia dell’arcivescovo Moretti nel pontificale del giorno. Di fronte alla domanda su come liberare la festa del patrono di Salerno dalle incrostazioni del folklore, che negli anni ha assunto anche un colore politico, il vescovo ha ritenuto di dover ricorrere alla celebre parabola del seminatore.

 

“Il seme cadde nel terreno roccioso e poiché non vi era molta terra, subito si sviluppò senza radice e fu bruciato dal sole; altro cadde tra le spine e vi fu soffocato; altro ancora cadde nella terra buona e diede frutto, chi per cento, chi per sessanta, chi per trenta.” Queste le parole di Gesù ricordate da Moretti e la cui trasposizione alla festa tutta salernitana di S. Matteo è di chiara evidenza. Anche nel folklore locale vi è spazio per “la semina nella buona terra” che produce il frutto a cui il fedele si predispone nell’ascolto della Parola e nella sequela di Cristo a cui Matteo, pubblicano, esattore di tasse per conto dell’impero romano, rispose senza esitazione nell’incontro decisivo per la sua vita.

“Sequela” e “discontinuità” sono stati gli ulteriori termini che hanno precisato il riferimento alle stratificazioni. Se l’ascolto della Parola di Dio produce stratificazioni più o meno profonde nel vissuto di chi la riceve, la sequela di Cristo è l’elemento che segna la discontinuità nella vita, come Matteo che non esitò ad abbandonare il suo lucroso status di pubblicano per calcare una strada che lo avrebbe condotto al martirio per la fede nel suo Signore. E che questa discontinuità di vita sia l’elemento decisivo della sequela lo dimostra anche l’iconografia di una delle opere più famose di Caravaggio, la Vocazione di S. Matteo (foto) a Trinità dei Monti a Roma,  che, a distanza di oltre quattro secoli, alimenta una vivace polemica tra gli storici dell’arte su chi sia realmente Matteo nel dipinto, il giovane o il vecchio, indotta dalla lettura che ne ha dato di recente Benedetto XVI.

La fede dunque come acquisizione da conseguire proprio sull’esempio dell’apostolo Matteo che ha consegnato al suo Vangelo la dicotomia proposta frequentemente da Gesù “vi è stato detto – ma io vi dico”, in un continuo esame critico tra la forma e la sostanza del credere. A tale proposito, Moretti ha annunciato l’adesione della diocesi di Salerno all’anno della fede indetto da Benedetto XVI, che avrà inizio il prossimo 11 ottobre, cinquantenario del Concilio Vaticano II, con un pellegrinaggio a Roma previsto per il 3 ottobre prossimo e che culminerà con la celebrazione sulla tomba di S. Pietro, all’altare della Confessione, normalmente riservato alle sole celebrazioni papali. Insistendo sul concetto di sequela, va pur detto che essa si realizza anche negli esempi da seguire.

E’ apparso infatti significativo che il pontificale per S. Matteo sia stato accompagnato dai canti in latino della “Missa de Angelis”, come auspicato dal Direttorio diocesano per la celebrazione dei sacramenti in vigore dal primo settembre. Ma, ancora più significativo è che una celebrazione come questa, che pur si connota di solennità, non conceda nessuno spazio al latino nella parte più alta, quella della liturgia eucaristica. L’obiezione che normalmente si pone è che il latino, non comprensibile dai più, non consenta una partecipazione attiva alla messa. A questa obiezione Benedetto XVI ha replicato autorevolmente quando, nel messaggio al Congresso eucaristico internazionale di Dublino del giugno scorso, ha scritto: “Il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero. Tuttavia, non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la partecipazione attiva è stata confusa con l’agire esterno”. Se dunque l’insegnamento di S. Matteo è la pronta sequela di Cristo, perché non seguire anche il Papa nel suo esempio di celebrazioni solenni in cui la liturgia eucaristica è tutta in latino? In nome di una partecipazione attiva che spesso è solo un “agire esterno”? Il senso della solennità è anche dato dall’uso di forme che esulano dall’ordinario, come nell’uso del latino che traduce in modo immediato il senso della trasmissione della fede dall’età apostolica di Matteo ad oggi, senza soluzioni di continuità, e con il vantaggio di una liricità che le “lingue vernacole” stentano ad esprimere. Come il Sequere me rivolto un giorno a Matteo e che nei secoli conserva intatto il suo valore d’invito – comando pur fondato sulla libertà della risposta.

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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