ARCHIVIOSanta Croce in G.: muore don Famiano, addio ai cistercensi

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Don_Famiano_Bianchi

ROMA- E’ morto il 3 agosto scorso a Roma nell’abbazia di San Bernardo alle Terme Don Famiano Bianchi, monaco benedettino cistercense, abate emerito dell’abbazia di Santa Croce in Gerusalemme, di anni 93, 76 di professione monastica. Emessa la professione per il monastero di Santa Croce il I novembre 1936, quando regnava Pio XI e l’Italia era saldamente fascista, Don Famiano ha consacrato tutta la sua vita all’abbazia di Santa Croce in Gerusalemme, di cui divenne abate nel 1966, e che pure è stato costretto a lasciare il 31 luglio scorso.

Atto ultimo questo delle complicate e tortuose vicende che hanno visto sin dal 2009 l’abbazia di Santa Croce in Gerusalemme sottoposta a visita apostolica, con la rimozione del controverso abate in carica Simone Fioraso, all’acme della popolarità  a seguito della kermesse televisiva e radiofonica “la Bibbia notte e giorno”, realizzata in Santa Croce, l’allontanamento di altri due monaci e la soppressione infine della stessa abbazia. Il tutto, si è detto, per volontà dello stesso Benedetto XVI, di cui è stata proclamata l’assunzione dei provvedimenti “in forma specifica”, ovvero inappellabile. Di fatto, la prossimità a San Giovanni in Laterano e al Vicariato di Roma, retto dal cardinal Vallini, del complesso monumentale di Santa Croce in Gerusalemme, costituito dall’omonima basilica e dal monastero propriamente inteso, una cui ala è sede di un noto albergo romano, frutto dell’intraprendenza anche imprenditoriale di Fioraso, la compresenza nell’area del sito archeologico del Sessorium, palazzo dell’imperatrice Elena, madre di Costantino, a ridosso delle Mura aureliane, sono elementi validi a suggerire l’acquisizione da parte dello stesso Vicariato, che ha assunto anche la cura diretta dell’annessa parrocchia.

Senza considerare, inoltre, che legale proprietario del complesso è lo Stato italiano, sin dagli espropri di beni ecclesiastici seguiti alla presa di Roma del 1870, pur concesso in comodato ai Cistercensi di San Bernardo in Italia dal 1937, e oggi annoverato nel Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. Cessa così, anche simbolicamente, con la morte di D. Famiano la presenza dei monaci cistercensi a Santa Croce dal 1561, allorché sostituirono i Certosini per volontà di Pio IV. Non è forse un caso che la fedeltà alla professione monastica di Don Famiano che si è estesa per settantasei anni, coincida con la fine della presenza religiosa a Santa Croce. L’esigua comunità di sette monaci superstiti alla visita apostolica, i più malati e anziani, dopo due anni di difficile coabitazione con i nuovi responsabili del clero secolare, alla fine hanno dovuto traslocare per la vicina San Bernardo alle Terme. Trasferimento di sicura vicinanza geografica, ma carico d’implicazioni anche emotive, se si considera che la professione del monaco comporta anche il voto di stabilità, stabilità negli impegni assunti irrevocabilmente con la sua conversione di vita, ma anche verso il monastero cui ci si è consacrati. E’ il caso dell’abate Famiano Bianchi il cui voto di stabilità alla Congregazione cistercense di San Bernardo in Italia presso l’abbazia di Santa Croce in Gerusalemme si è consumato con la stessa consumazione della sua vita di religioso e di sacerdote. Esempio prezioso di fedeltà agl’impegni assunti per un’epoca che difficilmente concepisce la stabilità nella condizione personale, anche in ambito ecclesiale.   
Nicola Russomando

 

Redazione Eolopress

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