ARCHIVIOSalerno: il direttorio di monsignor Moretti sui sacramenti cancella la «sociologia»

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Il Direttorio diocesano sulla celebrazione dei sacramenti, promulgato dall’arcivescovo di Salerno monsignor Moretti, entrerà in vigore il prossimo primo settembre. Assurto agli onori della cronaca esclusivamente per la questione dell’imposizione di un contributo speciale per i matrimoni celebrati al di fuori delle comunità ecclesiali di riferimento degli sposi, il documento invece si segnala per il suo sforzo di ricondurre la prassi della celebrazione dei sacramenti all’autenticità.

Suo presupposto logico, infatti, è che “i sacramenti non sono gesti privati, ma atti ecclesiali”, quindi da ricondurre costantemente ai rituali e al significato che la Chiesa vi annette con la relativa preparazione dei fedeli che ne fanno richiesta. A differenza del Sinodo diocesano voluto dall’arcivescovo emerito Pierro, pur richiamato nel decreto di Moretti, il Direttorio respinge ogni tentazione sociologica per affidarsi alle solide linee tracciate dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dal Codice di Diritto Canonico. Tra l’altro, tra le fonti normative della liturgia, oltre all’ordinamento generale del Messale Romano, il Direttorio cita, di Benedetto XVI, l’esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis e il motu proprioSummorum Pontificum, che ha liberalizzato l’uso del Messale tridentino a semplice richiesta di gruppi di fedeli. Principio rivoluzionario nella storia della Chiesa, quello che consente ai fedeli l’opzione per una forma di celebrazione pur definita “straordinaria”, ma che è rimasto, nella maggior parte dei casi, mero principio grazie all’opera di sistematico boicottaggio dei vescovi.

A distanza di cinque anni dalla promulgazione del motu proprio, si attende ora una relazione prevista dal Papa stesso circa lo stato  dell’applicazione. Da Salerno, di sicuro, non verrà nessun contributo, considerato che, a conoscenza di chi scrive, non è prevista in diocesi nessuna celebrazione in latino, né col Messale riformato di Paolo VI, né tantomeno con quello tridentino di Pio V. Un timido conato di celebrazione semiclandestina sotto Pierro, secondo le norme di Summorum Pontificum, non ha avuto più continuità. Certo, come sostiene Benedetto XVI, per una tale celebrazione occorre da parte del celebrante dimestichezza della lingua latina e del rituale preconciliare, circostanze di per sé eccezionali stante il bando del latino nei seminari, il cui studio è però obbligatorio per il canone 249 del codice canonico. Eppure proprio il Direttorio auspica la valorizzazione del canto gregoriano nelle celebrazioni eucaristiche, secondo le indicazioni papali “recuperando e privilegiando alcuni brani più semplici e popolari (ad es. la Missa simplex, la Missa de Angelis, il Veni Creator, il Pangelingua, i Toni salmodici, le Antifone mariane). Prescrizioni più che lodevoli, di cui ci si augura di vedere l’attuazione già nella chiesa cattedrale di Salerno, dove non sembra che il coro diocesano si distingua per l’esecuzione dei canti dell’Ordo Missae in latino e dei testi ricordati dal Direttorio. Del resto, nella Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI ricordava la previa necessità di celebrazioni latine nei Seminari, onde si prepari un clero adeguato a valorizzare anche per i fedeli la lingua madre della Chiesa, che già Paolo VI definiva “un insieme lirico e mistico”. Una consuetudine anche questa assente nel Seminario Metropolitano di Salerno.

E in tema di abusi anche del clero, il Direttorio affronta la questione delle messe cumulative o ad intenzioni plurime. La legge della Chiesa prevede che “devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l’offerta, anche se esigua, è stata data e accettata” (can. 948). La norma, pur imperativa, è stata variamente derogata dalla Conferenza episcopale italiana, che comunque stabilisce che le messe “plurintenzionali” sono consentite due volte la settimana e sempre con previo avviso ai fedeli. In ogni caso la commemorazione dei defunti va fatta nella preghiera dei fedeli, non nel canone della messa. All’opposto, nelle nostre parrocchie, è normale ascoltare lunghe liste di nomi nella parte del canone riservato alla commemorazione di tutti i defunti, che diventano lunghe omonimie nelle ricorrenze onomastiche più popolari, senza che se ne faccia mai avviso ai fedeli, anche nelle liturgie domenicali, di norma da celebrarsi pro populo, senza intenzioni particolari, ma per la generalità del gregge affidato. Se poi le offerte sono trattenute tutte dal celebrante o riversate nella cassa parrocchiale, come prescritto, è cosa nota, tutt’al più, al solo consiglio per gli affari economici istituito in ogni parrocchia. Dunque il Direttorio affronta nodi essenziali della celebrazione dei Sacramenti, tanto sul fronte della prassi, quanto su quello della catechesi.

Obiettivo primario resta, come scrive Moretti, “ripartire da Cristo”, secondo le indicazioni del piano pastorale tracciato per il biennio 2011/12 a sintesi del convegno ecclesiale della diocesi di Salerno da lui stesso convocato. “Le leggi canoniche per loro stessa natura esigono obbedienza”, scriveva Giovanni Paolo II nel promulgare il nuovo Codice di Diritto Canonico. Alla prova dei fatti si vedrà se il Direttorio avrà anche vincolatività giuridica oltre che valenza pastorale, considerato che i due concetti spesso, in ambito ecclesiale, non viaggiano di pari passo.
Nicola Russomando


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Redazione Eolopress

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