ARCHIVIOMagistrato nega i funerali al morto

admin11/08/2012
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Giudici_quadro_Hogarth

Il reato non poteva reiterarlo, le prove non poteva inquinarle e -soprattutto- non c’era alcun pericolo che fuggisse. Per una ragione molto semplice: era morto. «Talmente morto» e «talmente detenuto» che il magistrato di sorveglianza ha forse considerato superfluo anche il conforto religioso, negando il permesso per il funerale in chiesa.

Ironie a parte, è una brutta storia quella che raccontiamo. Bruttissima. Se non fosse stato per i soliti Radicali, cacciatori indefessi di schifezze giudiziarie e penitenziarie, neppure si sarebbe saputo. Parliamo di un 49enne rinchiuso fino a lunedì scorso nel carcere di Civitavecchia, dal quale avrebbe dovuto uscire entro poche ore. Veniva dalla Campania, era in cella a Santa Maria Capua Vetere, poi, d’improvviso, è stato trasferito nel Lazio. Libero non citerà né il suo nome né il paese d’origine per evitare alla famiglia ulteriori umiliazioni.

I fatti, nella ricostruzione offerta pure dal deputato Rita Bernardini, sono andati così: stava cenando, all’improvviso non riesce più a respirare perché un pezzo di carne gli va di traverso. Corsa in infermeria, il personale tenta di rianimarlo ma al terzo arresto cardiaco non ci sarà nulla da fare più. Storie quotidiane nel mondo dei liberi, figuriamoci nella cloaca delle nostre galere. Ma il «bello» deve ancora venire. Fatta l’autopsia, il giudice sigla un burocratico provvedimento disponendo il trasferimento della salma al cimitero. I familiari, tra l’altro neppure informati che era stato trasferito a Civitavecchia (“in violazione delle norme del regolamento penitenziario che impongono di facilitare la vicinanza dei carcerati alle famiglie” dice la Bernardini), vorrebbero almeno fargli un funerale. Niente da fare, permesso negato: dal carcere vada direttamente nella fossa, e chissà che non fosse addirittura conveniente tenuto conto del tipo di mondo che abbandonava.

L’impresa di pompe funebri è costretta a dirlo alla famiglia: «Non possiamo, il giudice ha tracciato il percorso e non si modifica». Non era un camorrista (quindi nessuna sceneggiata o agguato familiare) né c’erano motivi di ordine pubblico, uniche ragioni che potrebbero giustificare la decisione: era un povero Cristo, come il 95% dei carcerati. Il sindaco del paese si era anche offerto di pagare le spese di rientro, in genere molto onerose. Nisba pure stavolta. A farlo, forse per obbligo più che per scelta, è stato il carcere di Civitavecchia, tirando fuori una somma di sicuro maggiore di quanto avrebbe sborsato se gli avessero comprato una banale dentiera: infatti -lo ha detto la direttrice Silvana Sergi“non era un tossicomane, ma soffriva di disturbi psichici e il giudice stava per farlo uscire tenuto conto del suo stato di salute”. Non si sa che differenza ci possa essere, sta di fatto che una dentiera costa meno di trasporto e tumulazione di un cadavere e, forse, quel boccone lo avrebbe potuto masticare e a quest’ora scriveremmo d’altro. Ma così è l’Italia, dove ormai un giudice decide perfino della tua anima, oltre che del tuo corpo.
La direttrice del carcere conferma “quanto detto dall’onorevole Bernardini ma, seppur dispiaciuta per il fatto, la prassi di negare il funerale è consolidata”. Consolidata? Cioè?
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’11 agosto 2012)

 

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