ARCHIVIO«Sono pazzo, come Ingroia»: Dell’Utri indagato parte tre

admin19/07/2012
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«Sono un pazzo come Ingroia». Il tono è serafico, forse anche disperato: certo è che Dell’Utri con questa frase ha accompagnato i primi commenti alla notizia dell’ennesima indagine che lo riguarda. Estorsione aggravata nei confronti di Silvio Berlusconi. La storia è nota, dilaga nelle sue diverse versioni e la riconduce sempre al punto di partenza di tutto: il 1994, anno in cui ebbe inizio l’avventura politica del Cav, della quale il siciliano curò l’architettura. Diciotto anni fa si entra in scena e gli applausi degli italiani ingrassano le urne: contemporaneamente dalla procura di Palermo parte la contraerea, decisa a lavare l’onta di un manipolo di puzzoni entrato nelle stanze del potere. E c’è un solo modo per imbrigliare un uomo pubblico del Sud, lo sa chiunque abbia un minimo di consuetudine con questo pezzo d’Italia, dov’è tecnicamente impossibile evitare di incrociare un delinquente a partire già dalle elementari: il concorso esterno in associazione mafiosa. Difatti nel gennaio del 1996, grazie a già sperimentate cantate di “pentiti”, i pm gli imputano una sorta di organicità a Cosa Nostra. Al centro c’è la storia dello «stalliere di Arcore», il boss di seconda fila Vittorio Mangano, assunto in casa Berlusconi per il tramite di Dell’Utri come deterrente per le minacce dell’Anonima Sequestri, molto in voga negli anni 70: in pratica, quel che faceva qualsiasi industrialotto del Nord ossessionato dalla malavita.

In poco meno di 9 mesi sarà rinviato a giudizio. Partirà una delle più discusse cacce all’uomo che la storia politico-giudiziaria del Paese ricordi, seconda solo a quella del suo amico Berlusconi ma altrettanto imbarazzante, almeno per quelli che della magistratura avevano una certa idea.

Nel novembre ’97 comincia il processo di I grado che durerà «appena» 7 anni: Dell’Utri becca 9 anni, più 2 di libertà vigilata, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e un risarcimento danni alle partici civili di circa 100mila euro. L’aspetto esilarante è che i «danneggiati» costituiti erano il comune e la provincia di Palermo. In Appello la procura generale chiederà altri 24 mesi ma i giudici gli scaleranno 2 anni perché i fatti contestati dopo il 1992 “non sussistono”: fino ad allora però 7 anni saranno considerati sufficienti, ritenendo il collegio che Dell’Utri ebbe rapporti con le organizzazioni di Bontate, Riina e Provenzano fino alle stragi di Capaci e via D’Amelio, facendo da intermediario fra le cosche e Berlusconi. In nessuna delle due sentenze si legge di un fatto-reato preciso, mentre la sociologia abbonda.
Dovranno passare altri due anni perché un magistrato strictu sensu come Franco Iacoviello, procuratore generale della Cassazione, chiedesse l’annullamento della condanna con rinvio del processo: memorabile la sua requisitoria, dove il minimo fu «manca il fatto, c’è un’accusa liquida per una condanna solida».
Quanto alla trattavia Stato-mafia, la storia è quella di ieri, opportunamente raccontata da Andrea Scaglia.

Queste le indagini più eclatanti: mancano ancora altre, però, meno rumorose ma pur sempre indicative dell’andazzo.
Nel 2005 viene condannato dalla procura di Milano a 2 anni per un’altra estorsione (aggravata dalla finalità mafiosa) in danno del trapanese Vincenzo Garraffa, patron della “Pallacanestro Trapani”, con la complicità del boss Enzo Virga. Due anni ancora e l’Appello conferma: va condannato perché ha minacciato il conterraneo di fargliela pagare se non gli avesse retrocesso una quota in nero di una sponsorizzazione della “Heineken”. Si arriva in Cassazione e, manco a dirlo, iniziano gli smottamenti: nel gioco di rinvii e derubricazioni dei reati, il 28 maggio 2011 sarà assolto perché il fatto non sussiste.
C’è poi la storia della calunnia nei confronti di un gruppo di pentiti di mafia: Dell’Utri si sarebbe accordato con loro «colleghi» per screditarne altri. Assoluzione anche qui, in Appello, dopo che in I grado gli avevano appioppato altri 9 anni. E pensare che era stato chiesto l’arresto, negato dal Parlamento.


Una delle ultime indagini è quella sulla così detta “Loggia P3”, inseguita dalla procura di Roma. Dell’Utri, con FlavioCarboni, Denis Verdini ed altri, avrebbe cospirato per condizionare la Corte Costituzionale sul Lodo Alfano ed alcune nomine di peso nei distretti giudiziari. Siamo nel luglio 2010, Dell’Utri al primo interrogatorio si avvarrà della facoltà di non rispondere. La faccenda ancora è in corso. Si vedrà. Per farsene un’idea, basti il titolo di Libero di quell’estate: “La P3 sono tre pirla”.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 19 luglio 2012)

 

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