Omissis-Archivio«E adesso applauditemi tutti»

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«Chi ha finito di leggere queste pagine resta arricchito, anche sotto un altro profilo. Perché percepisce la pervasività di sistemi per delinquere occulti e ben organizzati». Così sta scritto in fondo all’ultimo libro di Luigi De Magistris, Assalto al pm. Storia di un cattivo magistrato (Chiarelettere). E a scrivere è nientemeno che Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, in una postfazione degna dell’altrettanto nobile prefazione, firmata dall’ideologo del calvinismo giudiziario siculo-sabaudo, Marco Travaglio. Deciso a seguire l’ingroiano invito ad arricchirsi, Tempi si è immerso nella lettura dell’ex pm di Catanzaro divenuto eurodeputato dipietrista, e subito ha capito una cosa semplice: De Magistris è un uomo felice. Del resto, come può non esserlo un patriota che giura di essere sempre stato onesto, trasparente e pulito, uno che scrive Giustizia con la G maiuscola e de Magistris con un’aristocratica d minuscola? Uno così come minimo te lo ritrovi un giorno magistrato iscritto a Magistratura democratica, versante vigilanza del “bene collettivo”. È una parabola talmente felice, quella di De Magistris, che l’eurodeputato ha pensato bene di descriverla tutta. Ne sono uscite pagine che farebbero sospettare d’eccesso d’umiltà finanche Max Stirner. Saltando quelle dedicate alla gioventù e agli studi universitari (vi basti sapere che già allora De Magistris era un fenomeno), il bello comincia dopo quell’esame da magistrato «conquistato grazie ad un’enorme forza di volontà» (pag. 11).

La Calabria è soffocata dall’intreccio mafia-politica? Ecco che a Catanzaro arriva «un magistrato entusiasta, che si è messo all’opera concependo le funzioni di pm a 360°, avendo ben scolpito nella mente l’art. 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge» (pag. 17). A Napoli le toghe languono nel torpore culturale? Niente è più tonificante di un ritorno di De Magistris alla città natale: «Alcuni amici, che ben conoscevano l’impegno con cui mi sono sempre dedicato alle battaglie interne all’ordine giudiziario, aspettavano il mio arrivo per mettere in piedi un’attività di rinnovamento. Una vera e propria rifondazione associativa» (pag. 42). Inutile aggiungere che quello «è stato il periodo più esaltante per l’associazionismo a Napoli», tra convegni su “Magistratura e conflitti sociali” e richieste di misure cautelari prodotte «nell’ambito dell’attività volta alla moralizzazione della vita pubblica». Peraltro è proprio durante uno di questi esaltanti dibattiti napoletani che il nostro fa la conoscenza di Travaglio, con il quale prima litiga a causa di un articolo “critico” su Micromega, poi, dopo quattro anni (nel 2006), sboccia l’amore, grazie a un ironico sms del giornalista. «Possibile che passi notizie segrete a tutti e a me hai sbattuto la cornetta sul muso?». Possibilissimo.

Perché se c’è una cosa a cui De Magistris tiene, questa è il consenso: «C’è un altro aspetto importante del mio ritorno in Calabria, l’accoglienza che mi ha riservato la gente, il favore di una parte significativa della popolazione: nei tre anni precedenti avevo acquisito il rispetto e la fiducia dell’opinione pubblica» (pag. 59). I calabresi, infatti, non avendo nulla di meglio da fare, a lungo si sono chiesti «se io fossi cambiato al mio rientro da Napoli» (pag. 60), pur potendo stare «certi che non ricavassi alcun vantaggio dal mio lavoro» (pag. 59). E così il povero De Magistris s’è dovuto accontentare di uno svantaggiosissimo seggio a Strasburgo. Anche in povertà, però, si può essere felici. Soprattutto se ci si convince che «la stima nei miei confronti sia stata ampia anche perché lavoravo senza sosta: le investigazioni erano tante e i risultati ben visibili. Il mio modo di essere e di lavorare è stato determinante per il consenso popolare che ho avuto. Il sostegno alla mia persona, la strenua difesa del mio operato sono nati dal fatto che mi ero conquistato la stima della gente dimostrando serietà professionale, abnegazione e sacrifici assoluti, tanto da essere chiamato nelle scuole a parlare di legalità ai bambini delle elementari così come ai ragazzi delle superiori» (pag. 60). E poi dice che i dipendenti pubblici sono fannulloni. Fannullone semmai è lo Stato, il quale «avrebbe dovuto investire il meglio delle sue risorse, mettere accanto a de Magistris altri colleghi, il meglio delle forze dell’ordine; avrebbe dovuto non tirarsi indietro di fronte alla sete di verità della gente» (pag. 69). E invece alla fine il nostro eroe è stato punito dal Csm: trasferito d’ufficio, di sede e di funzione. Niente più inchieste scottanti per De Magistris. I soliti poteri occulti masso-mafiosi (copyright De Magistris) avranno fatto festa, magari assieme a Nicola Mancino, che del Csm è il vicepresidente, «artefice di uno dei più gravi attentati all’autonomia dei magistrati» (pag. 100).

Nel capitolo intitolato “All’orizzonte il baratro ma nella coscienza nessuna alternativa”, quest’ultimo comunque è in buona compagnia: «Ho avuto forti delusioni da magistrati che stimavo e che facevano a gara per mostrarsi amici e per essere considerati amici. Penso ad Armando Spataro o Claudio Castelli, magistrati non in grado di affrontare la questione morale dentro la categoria. Avevano gli strumenti per farlo, anche perché li avevo informati. E quando si sono trovati davanti un magistrato che, da solo e senza coperture, pativa sulla propria pelle l’essere indipendente e in prima linea in terra di frontiera, si sono girati dall’altra parte» (pagg. 101-102). Non solo il tradimento di Giuda e la condanna del sinedrio. Pure alle tentazioni del demonio ha resistito De Magistris: «Hanno provato ad aggiustare la situazione offrendomi vie d’uscita e una brillante carriera» (pag. 105). Ma, manco a dirlo, non vi fu cedimento, perché Luigi il Nazareno sapeva già tutto. «Sapevo quello a cui andavo incontro, non sono uno sprovveduto, superficiale, incosciente. Avevo previsto tutto». Tant’è vero che «con il mio allontanamento la magistratura ha perso, ma io ho vinto. La mia vittoria morale è incancellabile». Insomma, De Magistris ha analizzato la sua vicenda, ha espresso opinioni, vagliato le controdeduzioni e, alla fine, non può non dirsi assolutamente d’accordo con se stesso. «Guardando indietro rimango convinto di aver agito non solo in perfetta legalità, ma anche con atti giusti e corretti: ho fatto solo ciò che dovevo» (pag. 106). Come può non essere felice un uomo così? E volete che cotanto magistrato non entri in rotta di collisione con il presidente della Repubblica? Pagina 136: «Napolitano ha avallato il fatto che dovessi essere fermato, dando copertura istituzionale ad un grave vulnus all’indipendenza della magistratura. Ha pesanti responsabilità sul piano omissivo e non solo».

E di quale omissione si sarebbe macchiato il presidente del Csm che per inciso è anche primo cittadino d’Italia? «È una responsabilità morale e istituzionale confermata dal fatto che non ha neppure risposto alla lettera che gli ho scritto per comunicargli le mie dimissioni dalla magistratura». Possibile che il capo dello Stato non capisca che non si snobba un pm come De Magistris? Parliamo pur sempre dello stesso pm che il 28 settembre del 2007, dentro un auditorium pieno di gente, vicino a Catanzaro, con le telecamere di AnnoZero sparate, udì «un tale boato quando Aldo Pecora mi telefonò in diretta ed io dissi solo “Sono Luigi De Magistris”. Mi si fermò il cuore, un applauso infinito e cori bellissimi, sentivo quei ragazzi scandire il mio nome, il loro affetto, la loro onestà, il loro discernimento tra il bene e il male». 
E pensare che quella lettera di dimissioni ignorata da Napolitano Luigi De Magistris l’ha meditata per mesi. «Ho pensato di scrivere una lettera non riservata perché volevo che tutti sapessero».
Su questo, infatti, il nostro non ha mai avuto dubbi. In fondo «non si trattava di fatti privati ma della storia di un pezzo di magistratura ostacolata da settori significativi delle istituzioni e di un capo dello Stato che non ha fatto nulla per impedirlo». Pregasi mandare a memoria: mai si trattò della scrivania del dipendente pubblico De Magistris Luigi da Napoli, bensì della storia di un pezzo di magistratura.
Peppe Rinaldi dal settimanale “Tempi”


Peppe Rinaldi

Giornalista

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