SALERNO- Se intorno a te ci sono montagne di spazzatura ma la tua casa e il tuo giardino si presentano civili, una ragione ci sarà. Se altrove non fai in tempo a parcheggiare l’auto che ti assalgono abusivi e lavavetri per estorcerti indefinite carità ma dalle tue strade queste cose sono sparite, pure ci sarà una ragione. Se in giro trovi contrabbandieri, spacciatori e prostitute che invadono i centri storici con la complicità del buio e di lampioni scassati mentre in vicoli, anfratti e viuzze del luogo dove vivi tutto questo è un ricordo lontano, da qualche parte un motivo ci dev’essere. Se ovunque i vigili urbani fanno finta di non vedere per non prendersi le botte della gente mentre a casa tua ti tolgono il respiro se solo ti fermi un secondo in doppia fila, anche questo una spiegazione ce l’avrà.
Tutto ciò, a Salerno, la seconda città della Campania, porta a una sola traccia, innegabilmente legata al capofamiglia, Vincenzo De Luca (nella foto in basso), tre volte sindaco dopo un breve interregno trascorso alla Camera dei deputati e una vita spesa a far politica, sempre nel Pci (dalle origini fino all’ultima evoluzione, il Pd) eppure sempre in solitaria autonomia. L’appartenenza rispetto al governo di un territorio, infatti, conta poco in certi casi. E Salerno è uno di questi. La città non è certo l’Eden (vi si avvicina per rimando solo grazie a certi splendidi tramonti sul mare), ha mille guai, problemi e disagi in fondo normali per un centro di 150 mila abitanti. Ma che sia diversa dal contesto generale campano e di larga parte dell’Italia del Sud, lo nega ormai solo chi è accecato da rancorose ideologie: la Cgil, qualche circolo intellettuale, scampoli dell’antagonismo sinistrorso e tiepidi parlamentari già figli della sinistra basista Dc. E il centrodestra? La cosa più intelligente che ha escogitato da quando è entrato in alcune istituzioni è stata creare uno sbarramento all’avanzata di De Luca stringendo un patto con il suo vero nemico, Antonio Bassolino. Avrà avuto le sue ragioni. Ma cos’ha di diverso Salerno rispetto a Napoli o Caserta e i grandi agglomerati urbani di confine col capoluogo (Benevento e Avellino sono di un’altra categoria)?
Sembra scontato, ma di sicuro è la guida del timone a fare la differenza: se una città è allo sfascio viene automatico sparare sull’amministrazione, anche quando non ha responsabilità vere. Secondo logica, però, se vale in negativo dovrebbe valere pure al contrario. Quando il mondo intero assisteva sbigottito al più grande scandalo della storia repubblicana, l’emergenza rifiuti, Salerno aveva le strade pulite, e le ha tutt’ora: solo chi crede sia possibile mantenere un’intera città come la corsia di una clinica svizzera si ostina a vederci “qualcosa dietro”. Conta invece la realtà, che non solo indica l’eccezione rispetto al disastro circostante ma dice pure che la mitica raccolta differenziata oggi arriva al 72 per cento. Certe cose non le fai, specie in Campania, se non usi la frusta e non sei intransigente. A Salerno è prassi. Con Silvio Berlusconi e Gianni Letta De Luca ha rapporti di stima reciproca e il termovalorizzatore c’è da giurarci che lo farà, anche se ora ha i “finiani” della Provincia contro.
Vincenzo ‘a funtana
Quindici anni fa tra la parte antica e le arterie del centro non potevi nemmeno entrarci al calar del sole: prostitute, ladri e spacciatori addirittura sotto la questura, la prefettura e la Provincia. Oggi, negli stessi posti c’è un ribollire di locali, ristoranti, botteghe, giovani e meno giovani si catapultano da ogni angolo della regione perché sanno che qui si può vivere la notte (e anche il giorno) senza che qualcuno ti accoltelli o che ti arrivi una pallottola in fronte. Le periferie non cadono a pezzi, i prefabbricati costruiti dopo il sisma del 1980, che ancora ospitavano gente, sono un ricordo lontano, quasi ovunque c’è un parco pubblico, un giardino, una fontana (il sindaco lo chiamano in dialetto “Vicienz ‘a funtana” per la sua mania di installarne ovunque, ce n’è una anche in mare), gli edifici abbandonati sono passati sotto più di una rottamazione. Insomma, sembra si faccia sul serio. Chiedere ai salernitani che per tre volte a De Luca hanno tributato il consenso.
La svolta vera si è avuta però due anni e mezzo fa, quando Salerno stava per finire in mano a Bassolino e Ciriaco De Mita (allora ancora a braccetto): De Luca, ancora parlamentare, torna in città e si candida. Contro di lui tutti gli apparati alla corte del governatore e del gran visìr di Nusco: il mondo della sanità, dell’università, lo stesso partito, la sinistra antagonista, Mastella, addirittura la procura della repubblica (uno dei pm del caso Catanzaro, Gabriella Nuzzi, ne chiese per tre volte l’arresto per una storia di varianti urbanistiche e licenze per cassa integrazione di 250 operai, richieste tutte respinte). Solo, e con appena due liste civiche, De Luca umilierà non solo un centrodestra raccogliticcio, ma un’armata impressionante di centrosinistra pronta a prendersi l’ultima città campana rimasta fuori dal suo condizionamento. Se non avesse vinto, forse anche qui la spazzatura sarebbe arrivata ai primi piani dei palazzi mentre tutt’attorno si organizzavano dibattiti, convegni, protocolli d’intesa e di chiacchiere.
La ricreazione è finita
Tornato lui, la musica cambia. Come si dice, “la ricreazione è finita”. De Luca inizia a raddrizzare gli uffici comunali, invia circolari che impongono finanche il decoro nell’abbigliamento per i dipendenti, abituati a presentarsi in ufficio con zoccoli e canottiera. Responsabili e dirigenti pagheranno di tasca propria i ritardi nell’espletamento della pratiche, i vigili urbani fuori dagli uffici e di nuovo in strada, ai sindacati non più di quanto è costituzionalmente garantito, via tutti i parassiti. Il sindaco esclude subito – erano i giorni del dibattito – che nella sua città si fantastichi su Pacs, Dico e roba del genere: «Io difendo l’identità cristiana della famiglia», tuona ‘a funtana in tv. Detto da un ex comunista non è poco. E poi via dalle strade barboni, mendicanti, finti poveri e clandestini: «Abbiamo il dovere di dare una mano a tutti quelli che ne hanno bisogno, ma non uno di più di quanti questa città ne possa sopportare» recita il “compagno” De Luca. Sparite pure le liste dei famosi disoccupati organizzati. Manganelli alla polizia urbana, intransigenza su tutto. Ciò che alla fine paga.
Ma se la Hyppocratica Civitas (la Scuola medica salernitana è la più antica d’Europa) sta cambiando, è soprattutto per via della “fissa” principale del suo sindaco, la trasformazione urbanistica. Sono le archistar internazionali a firmare il cambiamento, in gran parte già realizzato. Dalla Cittadella giudiziaria dell’inglese David Chipperfield alla stazione marittima dell’iraniana Zaha Hadid, dal porto turistico Marina d’Arechi di Santiago Calatrava ai progetti di Pica Ciamarra, Dominique Perrault, Tobia Scarpa, Jean Nouvel e Nicola Pagliara. Infine il “Crescent”, la più grande piazza d’Europa affacciata sul mare firmata da Ricardo Bofill, alla quale De Luca ha dato un nome da preludio al superamento politico dell’appartenenza. Si chiamerà Piazza delle Libertà. E il fatto che certi ambientalisti e intellettuali al caviale si siano messi di traverso è già garanzia di validità del progetto.
Oggi il sindaco di Salerno è pronto a esportare il suo modello in tutta la Campania: sta scaldando i motori, gira per tutta la regione e si prepara a correre per la presidenza. Ha un nemico duro da battere, anzi due: Bassolino e gli apparati napoletani già pronti ad abbracciare una parte del centrodestra. Sanno che se dovesse spuntarla (anche contro la volontà del suo stesso partito correrà con cinque liste civiche) si dovrà lavorare sul serio. E pur di non vedere quel momento si inventeranno di tutto.
Peppe Rinaldi
TEMPI