ARCHIVIO‘Modestamente sono un uomo di altissimo livello’

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«Una toga premier? Credo si possa arrivare a mettere in prima linea nella difesa della democrazia persone come posso essere io»
. Autoritratto sgrammaticato di Luigi De Magistris (nella foto). Pardon, de Magistris.

Trecentottantuno pagine per dire che il suo partito, la politica, l’Italia e tra un po’ l’Europa e il mondo intero, senza di lui non saranno niente. Che fortuna averlo incontrato, meno male che “Io” c’è: roba che manco Eugenio Scalfari ha mai immaginato di poter pensare e scrivere. Le cose però cambiano, evidentemente.

Pagine stampate da Editori Riuniti (a cura di Sergio Nazzaro, 15 euro) dove Luigi De Magistris parla di Giustizia e potere: ma è solo il titolo della pubblicazione dello scorso novembre, il resto è tutta visione, immaginazione, desiderio. Si direbbe vanità, legittima, e pur sempre vanità. Come quel “de Magistris” con la “d” ostentatamente minuscola, tradizionale vezzo sudista di certa media borghesia post-unitaria. È il tratto del personaggio, uno dei tanti, analogo all’orgoglio di avere alle spalle della scrivania dell’ufficio a Catanzaro il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e, a Bruxelles, la gigantografia di Falcone e Borsellino. Idem per la rivendicazione di essere strutturalmente marxista (p. 126) pur dormendo col Vangelo sul comodino: se proprio rivoluzione dev’essere, che lo sia a trecentosessanta gradi. Anche se «il crocefisso non deve stare nelle aule soprattutto dei tribunali, perché se no come fai a giudicare un musulmano od un ateo?» (p. 131). Insomma, poche idee ma confuse. Come la convinzione che la Compagnia delle Opere sia «il braccio finanziario della Chiesa cattolica» che «si occupa di lavoro interinale». Ovviamente in modo losco, almeno quanto «Cl ed Opus Dei sono sette massoniche». Un Ratzinger collocatore di manodopera o prestigiatore di compassi ancora nessuno l’aveva immaginato. De Magistris sì: ha preso quasi mezzo milione di voti – ripete sempre -, vuoi mettere?

Ma questo è niente. Il libro dell’uomo che contende la leadership (per ora solo “morale”) dell’Italia dei valori ad Antonio Di Pietro non è curioso per ciò che l’ex pm pensa di Berlusconi, della destra o della sinistra, della politica o della giustizia: qui è tutto scontato, arcinoto, prevedibile. È invece quel che pensa di sé a tratteggiare la linea di fondo, che sfocia in una prospettiva finora sconosciuta: l’ipotesi che ci sia in Italia un “presidente magistrato”, per esempio. C’è un intero capitolo così intitolato, l’undicesimo.


Quel «superbo» di un Napolitano

Si inizia a pagina 19 e si finisce a pagina 376. Giustizia e potere è un unico impressionante (a tratti esilarante) tentativo di inculcare nel popolo italiano l’interrogativo capitale: come abbiamo fatto finora a non vedere l’opportunità di dotarci di una guida come De Magistris? Fortuna che ora Luigi c’è, è qui e lotta insieme a noi.demagistris_dipietro Di Pietro è avvisato, Berlusconi pure. Per non parlare di Napolitano, «un superbo che non risponde alle mie lettere aperte, che non stimo perché l’ala migliorista del Pci napoletano cui apparteneva, è stata coinvolta in Tangentopoli» (pp. 263-266). Sembra uno scherzo ma non lo è.
«Io ho fatto il magistrato ad altissimi livelli per 15 anni e adesso la politica la sto facendo ad alti livelli, ho un livello di stress elevato: mi basta però un quarto d’ora di riposo perché sono contento di quel che fai (sic)». E se invece avesse fatto il magistrato “a bassissimi livelli” chissà cosa avrebbero scritto sul suo operato professionale in decine di relazioni di consigli giudiziari, cassazioni, appelli, gip, gup eccetera. E chissà se sarebbe mai nata una “Associazione vittime di De Magistris”. Saranno stati tutti massoni.

Nel libro il suo mentore politico, Antonio Di Pietro, viene martellato e accarezzato, un bastone e una carota che non si sa come andrà a finire. A cominciare dal fatto che per fare il candidato «non basta avere il casellario giudiziario pulito», per finire con la constatazione che «il futuro di Idv è quello uscito dalle europee» (pp. 34-37). Dice De Magistris: «Idv con me ha avuto una trasformazione genetica enorme, prima delle europee era un’altra Idv… se non ci fosse stata la scelta coraggiosa di Di Pietro di candidare de Magistris…».

A proposito di coraggio, il giustiziere della procura di Catanzaro divenuto eurodeputato non aveva paura di niente. Aveva la scorta, è vero, ma quella gli serviva per farsi proteggere solo quando era dentro il palazzo di giustizia: «Io dicevo alla mia scorta, quando uscivo dal tribunale per andarmi a prendere un caffè, che potevano andarsi a comprare il giornale. Poi quando rientravo dicevo che non mi dovevano lasciare un secondo. I nemici li trovi nelle istituzioni, è evidente». Evidente? Sarà stato per questa circostanza che durante il bombardamento mediatico, tra il 2007 e il 2008, fior di giornalisti gli telefonavano in continuazione, da Gian Antonio Stella a Marco Lillo, da Antonio Massari a Lucia Annunziata, da Sandro Ruotolo a Riccardo Iacona, da Federica Sciarelli a Carlo Vulpio. Vedere l’interrogatorio dinanzi alla procura di Salerno il 22 e il 23 aprile 2008 per credere (precisò al tempo De Magistris, che era indagato per abuso in concorso con altri soggetti e per rivelazione di segreto d’ufficio, che tutti quei segugi dell’informazione volevano solo «manifestarmi sdegno e solidarietà per il fatto che mi avessero tolto le inchieste di mano»).


«Io, straordinario magistrato»

demagistris3Tutto ciò, però, è il passato. Davanti c’è un mondo intero da rivoluzionare, e il libro rappresenta la Bibbia del cambiamento. Il futuro? Può iniziare in un grigio ufficio di Bruxelles: «Faccio il presidente della commissione bilancio dei fondi europei, ed è un discorso che sto portando avanti molto bene». Ovviamente è un dato incontestabile, come il fatto di aver condotto «indagini per omicidio come per corruzione, per rapina come per truffa, mi sono occupato di tutti i reati e sono stato considerato sempre uno straordinario magistrato» (p. 109). Quanto alla circostanza che la quasi totalità delle inchieste di De Magistris franasse facilmente, ecco, una spiegazione c’è (poteri occulti a parte): «Sono diventato un cattivo magistrato quando mi sono occupato sempre di più di indagini che riguardavano il crimine organizzato inteso in senso contemporaneo». Crimine organizzato “in senso contemporaneo” che magari si contrappone al crimine organizzato moderno, rinascimentale o mesozoico. Sta di fatto che di malavita organizzata “in senso normale” De Magistris non si è mai occupato, cioè all’Antimafia non ha mai messo piede. E una ragione ci sarà stata.

La garanzia per il popolo c’è però, ed è quella rinvenibile a pagina 109: «In Europa la mia esperienza di magistrato è straordinariamente utile e io poi dentro sarò sempre magistrato». Impossibile, dinanzi a un “magistrato dentro”, non allinearsi al sogno. Infatti chiede l’intervistatore: «Ci potrà essere in Italia un premier magistrato?». Eccoci al punto. Qui uno si immagina gote rosse d’imbarazzo per la lusinga, e un po’ le intravede pure. Poi il sole torna a splendere. «Credo si possa arrivare a mettere in prima linea nella difesa della democrazia e nella costruzione di un’alternativa a Berlusconi persone come posso essere io», annuncia De Magistris. «Noi lo stiamo facendo all’interno dell’Idv, lo ha fatto il popolo dandomi 500 mila voti e dando un segnale molto forte. Bisognerà vedere quanta altra disponibilità c’è negli altri» (pp. 117, 118). Chissà quanta ce ne sarà in Di Pietro.


«Non mi sono montato la testa»

Comunque lui la sua battaglia l’ha vinta – dice – e la cosa gli si è fatta chiara nel 2007, quando «rimasi pietrificato dall’emozione dinanzi al computer leggendo la lettera scritta dal fratello di Borsellino, Salvatore, che paragonava la mia vicenda a quella del 19 luglio 1992 (data dell’attentato al magistrato, ndr). Fu allora che capii di aver vinto. Potevano anche tagliarmi la testa ma la mia battaglia da magistrato l’avevo già vinta» (p. 168). Soddisfatto il programma del magistrato, manca solo di compiere le aspirazioni del politico. Con un “governo De Magistris”, per esempio. Per chi volesse saperne di più, il libro non delude. Oltre alle ipotesi dei ministeri e delle relative priorità, De Magistris, come un Paolo Ferrero qualsiasi, riparte dalle origini: «Credo che Marx sia assolutamente attuale e contemporaneo perché ha messo l’economia e il lavoro come punti centrali di cambiamento della società». Anche questo non l’aveva mai pensato nessuno. Così come nessuno, dovendo scegliere una delle prime dieci cose da fare come premier, riuscirebbe a essere concreto come il nostro: «La prima cosa che farei è dare il segnale che io rappresento un nuovo modo di fare politica; dovrà essere un governo politico con la precondizione d’essere appassionato» (pp. 206, 209).


E se invece fosse Guardasigilli? «Io vengo dalla magistratura però se dovessi essere ministro della Giustizia lo farei con altissimo profilo politico. Per esempio al Parlamento europeo sto svolgendo un ruolo altamente politico ma con una grande conoscenza dei fatti, in virtù della mia esperienza professionale». Chi pensa ciò non sbaglia mai, va da sé. E infatti De Magistris dice: «Gli errori si fanno ma non c’è uno sbaglio ricorrente, non credo di aver fatto sbagli clamorosi. Sono stato onorato dei tanti voti che mi hanno ripagato di tante sofferenze ma non mi hanno montato la testa» (pp. 220, 231). Non gliel’hanno montata la testa, anche perché «sono sempre stato una persona con i piedi per terra, umile, con una grande carica, una grande passione, una grande determinazione». E a conferma di questo, pensando ai suoi elettori, sostiene: «Ho un peso positivo, una carica, perché so che molti hanno fatto affidamento sulla mia persona» (p. 232).
Vale per l’elettorato, ma ce n’è pure per l’Idv: «Molti nel partito sbagliano giudizio nei miei confronti, non ho ambizioni in Idv anche perché ho preso talmente tanti voti che fare la gara nei miei confronti non è saggio politicamente» (p. 233). Sarà saggio Di Pietro? «C’è un tentativo di metterci l’uno contro l’altro, dentro al partito ma pure i poteri forti dall’esterno. Io e lui potremo cambiare l’Italia, ha bisogno di una persona come me che gli dia una mano. Se l’Idv segue la linea sua e la mia può arrivare al 15 per cento» (pp. 234-236) . E chi non la pensa proprio così? Tutto molto semplice: «È un fatto dettato da invidie, magari legato alla mia notorietà, al fatto che posso piacere di più. In ogni caso, in presenza di un conflitto insanabile, o la linea vincente sarà questa voluta da Di Pietro e da me oppure non ci sarà futuro per l’Idv» (p. 248).

Potrà o no Luigi De Magistris diventare il leader di un’alternativa di governo? E qui, un po’ come Woody Allen che glorifica l’onanismo come miglior modo per volersi bene, l’ex pm precisa che «mi gira la testa solo a pensarci. Quello che dico è che sono a disposizione. Se io fossi Di Pietro creerei un asse fortissimo tra me e lui. Penso che io e lui potremmo cambiare l’Italia» (p. 249).


«Nel ’92 sarei stato ammazzato»

È chiaro che per arrivare a tanto ci sia bisogno di forte capacità d’analisi. Fortunatamente De Magistris è ferrato anche su questo fronte. A pagina 287 dice: «Sono uno che ha sempre analizzato bene i fatti che accadono nel nostro paese. Non mi hanno ucciso perché ho lavorato nel 2006/2007/2008. Se avessi fatto lo stesso nel ’91, ’92, ’93 sarei stato ammazzato». Sarebbe scortese deluderlo anche solo ipotizzando il contrario, dunque meglio lasciarlo parlare: «Ho temuto mi uccidessero perché stavo indagando alla grande e non mi piegavo ai condizionamenti e alle pressioni. Potrei essere uno dei simboli del rinnovamento e del cambiamento del Paese e non sono ricattabile perché ho una grande onestà intellettuale oltre che una profonda onestà» (p. 290). Firmato Luigi De Magistris, napoletano con la “d” minuscola nel cognome, libero pensatore, eurodeputato dell’Italia dei valori. Per ora.


Peppe Rinaldi

TEMPI

Peppe Rinaldi

Giornalista

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